martedì 1 novembre 2011

Il valore dell'ozio


Esiste un rovescio della medaglia nella nostra condizione  di consumatori di quello che non produciamo. L'essere ingranaggi di un meccanismo che non ci abbandona mai, che ci tiene in attività in ogni momento senza consentirci mai di disporre di noi stessi. Le persone sono talmente disabituate a starsene quiete per i fatti loro, che non appena si trovano libere dal lavoro si imbattono in un altro impegno, che vorrebbe essere d'evasione, ma che in realtà non differisce molto da quello professionale per energie, modalità e ritmi richiesti.
Non a caso, quando in Gran Bretagna si decise di obbligare i datori di lavoro a concedere una settimana di ferie stipendiate ai loro dipendenti (correva l'anno 1936), venne fuori un certo Billy Butlin che organizzò a tempo di record colonie estive che offrivano un programma talmente denso di impegni da assorbire ogni momento delle giornate di riposo dei lavoratori. Vacanze estenuanti, varrà il caso di dirlo, ma tali da impedire alle masse avvezze a subire il giogo dell'ufficio o della fabbrica di trovarsi disorientate a dover gestire un tempo che d'un tratto si faceva vertiginosamente vuoto.
Malgrado la crisi economica e il conseguente assottigliarsi delle finanze personali, anche oggi la fabbrica delle vacanze non conosce soste, magari diminuiscono i giorni, si fanno più corti i tragitti, più essenziali i trattamenti, ma resta lo scopo essenziale: evadere da se stessi, dal rischio di trovarsi improvvisamente privi delle occupazioni e dei doveri che fanno le giornate magari tetre, ma libere dalle insidie dell'introspezione.
Forse, approfittando del conto corrente in rosso, evitando la sventura di un nuovo finanziamento per spese di consumo, bisognerebbe trovare il coraggio di trascorrere le ferie dandosi all'ozio, al tempo per sé senza l'incubo dell'orologio, delle file, dei turni, delle scadenze.
Ritornare come quando si era ragazzini a vivere i lunghi pomeriggi estivi animati dall'immaginazione che popolava un mondo più vasto della nostra stessa curiosità.
Alzarsi quando si vuole, mangiare quando si ha fame, frugare tra cassetti colmi di speranze dimenticate, alternare un film a un libro, senza risolversi a preferirne uno in particolare, andare a zonzo per le strade quando s'avvicina la sera e la città s'intride del profumo dei pini e del mare, girare per i borghi vicini quando non vi sono le dannate sagre. Perché bisogna stare attenti, l'ingranaggio è inesorabile, basta fare la fila per il biglietto che serve a fare la fila per prendere la pasta fredda che ci si ritrova nella fabbrica vacanziera sempre in agguato dalle nostre parti. E sì, anche saper oziare richiede la sua brava fatica. Ma qualche volta fa scoprire che possiamo essere grandi amici di noi stessi.

pubblicato su La Domenica d'Abruzzo, n. 24 del 13 agosto 2011, p.3

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