martedì 1 novembre 2011

L'onda lunga del 6 aprile


Le dimissioni di Massimo Cialente, sindaco dell'Aquila, conferiscono lo stigma della profezia al J'Accuse che Rita Centofanti ha pubblicato il 5 marzo su La Domenica d'Abruzzo.
Miopia, assenza di strategia, particolarismo, beghismo, inadeguatezza alla straordinarietà del presente in una città minata da un'accidiosa decadenza e tramortita dalla gran botta del terremoto sono i mali della classe dirigente cittadina (per non dire regionale e nazionale) che la Centofanti ha messo in luce e a cui Massimo Cialente ha saputo dire basta.
Chapeau. Nella patria del tirare a campare nessuno rinuncia a un incarico, semmai se ne fa promettere un altro. Non rinuncia nemmeno chi viene buttato di sella dall'elettorato, che pure dovrebbe essere il giudice ultimo in questa materia: un istante dopo l'amministratore bocciato rimedia un altro scranno, sempre in attesa del successivo. Figuriamoci.
La generazione che fece il suo début occupando scuole e università in vista della rivoluzione (obiettivo rinviato, distruggere l'istruzione parve sufficiente), seguita il combat per occupare il potere. Come fine della lotta, mica come mezzo.
Sembra che anche a sinistra sia stata dimenticata la celebre lezione che Togliatti diede a Pajetta, quando questi gli telefonò festante per annunciare la presa della Prefettura di Milano nel 1947. «Bravi, avete occupato la prefettura e ora che ci fate?», fu la risposta.
Cambiare il mondo era l'obiettivo indicato da Marx ai suoi, ora ci si contenta di descriverlo, o meglio di narrarlo, come oggi usa dire.
Chi voglia governare L'Aquila ha il dovere di chiarire quale potrebbe o dovrebbe essere il futuro di questa città, che non può dipendere dalle partite di spesa del Ministero del Tesoro o da una cultura sovvenzionata dalle sole casse pubbliche.
Su questo fronte la politica non ha dato mai risposte, salvo lo spalancare la bocca come un forno solo quando si paventava il trasferimento di un ufficio o di uno sportello da una città a un'altra.
Eppure non sono mancati i suggerimenti esterni. Ad esempio Enrico Letta, vice segretario del Partito Democratico, propose nel 2009 di dare futuro a L'Aquila mettendola al servizio del Paese. In che modo? Rendendola sede di due poli d'eccellenza nazionali: uno delle telecomunicazioni, l'altro dell'industria farmaceutica, prevedendo norme in grado di incentivare le imprese ad investire sul territorio aquilano. In questo modo si sarebbero rafforzate le industrie storicamente esistenti nella città e se ne sarebbero attratte di nuove, oltre a dare una risposta nazionale al problema dei tagli alla ricerca, in particolare nel campo farmaceutico.
Una proposta caduta nel dimenticatoio. Non solo per opera di chi al governo nazionale avrebbe potuto raccoglierla, ma anche di chi sul territorio era impegnato altrimenti: a consolidare la sua forza elettorale, a distribuire favori a cittadini giustamente allo stremo, a creare grane a un sindaco che alla fine ha saputo far scendere il sipario. Nella speranza che non torni a sollevarsi.


pubblicato su La Domenica d'Abruzzo, n. 3 del 12 marzo 2011

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