Luciano Canfora si è
rallegrato che il tema di versione dal greco scelto per gli esami di
stato di questo anno riguardasse un ambito scientifico; la lingua greca,
infatti, non è stata usata solo per la poesia, ma è stata a lungo la
lingua della scienza, della medicina, della biologia. Il brano di
Aristotele tratto da De partibus animalium (645a, 15-36) è un buon
esempio di prosa scientifica e filosofica, ed è un limite della scuola
che non si aiutino gli studenti a cogliere la complessità di una lingua
che non ha sfornato solo poemi, orazioni e storie. Questo detto lo
stesso Canfora ha osservato che non è mancato "ottimismo" in chi ha
scelto un passo di tal genere che di certo esige una preparazione
migliore di quella dei nostri studenti, che peraltro negli ultimi anni
va vistosamente scemando.
Proviamo a leggere il testo:
δεῖ μὴ δυσχεραίνειν παιδικῶς τὴν περὶ τῶν ἀτιμοτέρων ζῴων ἐπίσκεψιν. Ἐν πᾶσι γὰρ τοῖς φυσικοῖς ἔνεστί τι θαυμαστόν· καὶ καθάπερ Ἡράκλειτος λέγεται πρὸς τοὺς ξένους εἰπεῖν τοὺς βουλομένους ἐντυχεῖν αὐτῷ, οἳ ἐπειδὴ προσιόντες εἶδον αὐτὸν θερόμενον πρὸς τῷ ἰπνῷ ἔστησαν (ἐκέλευε γὰρ αὐτοὺς εἰσιέναι θαρροῦντας· εἶναι γὰρ καὶ ἐνταῦθα θεούς), οὕτω καὶ πρὸς τὴν ζήτησιν περὶ ἑκάστου τῶν ζῴων προσιέναι δεῖ μὴ δυσωπούμενον ὡς ἐν ἅπασιν ὄντος τινὸς φυσικοῦ καὶ καλοῦ.
Τὸ γὰρ μὴ τυχόντως ἀλλ' ἕνεκά τινος ἐν τοῖς τῆς φύσεως ἔργοις ἐστὶ καὶ μάλιστα· οὗ δ' ἕνεκα συνέστηκεν ἢ γέγονε τέλους, τὴν τοῦ καλοῦ χώραν εἴληφεν. Εἰ δέ τις τὴν περὶ τῶν ἄλλων ζῴων θεωρίαν ἄτιμον εἶναι νενόμικε, τὸν αὐτὸν τρόπον οἴεσθαι χρὴ καὶ περὶ αὑτοῦ· οὐκ ἔστι γὰρ ἄνευ πολλῆς δυσχερείας ἰδεῖν ἐξ ὧν συνέστηκε τὸ τῶν ἀνθρώπων γένος, οἷον αἷμα, σάρκες, ὀστᾶ, φλέβες καὶ τὰ τοιαῦτα μόρια. Ὁμοίως τε δεῖ νομίζειν τὸν περὶ οὑτινοσοῦν τῶν μορίων ἢ τῶν σκευῶν διαλεγόμενον μὴ περὶ τῆς ὕλης ποιεῖσθαι τὴν μνήμην, μηδὲ ταύτης χάριν, ἀλλὰ τῆς ὅλης μορφῆς, οἷον καὶ περὶ οἰκίας, ἀλλὰ μὴ πλίνθων καὶ πηλοῦ καὶ ξύλων· καὶ τὸν περὶ φύσεως περὶ τῆς συνθέσεως καὶ τῆς ὅλης οὐσίας, ἀλλὰ μὴ περὶ τούτων ἃ μὴ συμβαίνει χωριζόμενά ποτε τῆς οὐσίας αὐτῶν.
Segue una proposta di traduzione che mi sono divertito a mettere in piedi oggi pomeriggio, in un corpo a corpo reso più arduo dall'afa:
Non bisogna sdegnare, come dei bambini, l’indagine sugli esseri viventi più disprezzati. Infatti in tutte le realtà della natura vi è qualcosa di meraviglioso. Come si narra che Eraclito avesse detto agli stranieri che volevano incontrarlo, i quali, dal momento che entrando lo videro che si scaldava vicino al forno, si fermarono (li invitava a entrare senza timore; infatti anche in quel luogo anche gli dei), così si deve approcciarsi alla ricerca su ciascun essere vivente non con turbamento, poiché in tutto c’è qualcosa di naturale e di bello. Infatti soprattutto nelle opere della natura non vi è nulla a caso, ma in vista di qualcosa. Ciò per cui si costituì e generò, prese la specie del bello. Se uno ha ritenuto indegno lo studio degli altri animali, bisogna che pensi la medesima cosa anche su se stesso; infatti non è privo di molto fastidio il vedere da quali elementi è formata la specie degli uomini, come il sangue, le carni, le ossa, le vene e le parti di tal genere. Ugualmente occorre pensare che chiunque parli delle parti o degli strumenti non faccia menzione della materia, né in vista di questa, ma di tutta la forma, come riguardo alla casa, non citi i mattoni, l’argilla e il legno. Anche chi studi la natura faccia menzione della combinazione e dell’intera realtà, ma non di tali parti che non accade mai che siano separate dalla loro sostanza.
La traduzione è tutt'altro che limpida, lo riconosco subito, ma si tratta di un greco tutt'altro che agevole, soprattutto a partire dalla seconda parte del testo, nel quale abbondano i sottintesi, difficilissimi da recuperare per chi si attende che tutti i significati si possano trovare agevolemente nel campo della frase stampata davanti agli occhi. L'ultimo periodo, poi, era correlato al precedente dal quale occorreva riprendere l'inezia di due verbi lasciati impliciti nel testo compendiario dello Stagirita.
D'altra parte, come noto, i trattati di Aristotele erano come appunti finalizzati alle lezioni che il Filosofo andava svolgendo nel Liceo. Un esempio si può riscontrare nella citazione di Eraclito che viene quasi solo enunciata, lasciando in inciso la storia vera e propria, come un appunto vergato di fretta per ricordarsi di raccontare l'episodio con maggiore ampiezza durante la spiegazione. Non si tratta, dunque, di una prosa ben tornita come quella che in genere viene proposta allo studente, il quale spesso ha la pigrizia mentale di non ragionare su quello che non torna nel testo, ma caparbiamente tenta di tradurre infilando l'una dopo l'altra le parole che incontra, spesso senza nemmeno riflettere sul lessico specifico, ma accontentandosi delle prime accezioni presentate dal Rocci o dal Montanari.
Proprio il lessico è l'altra nota dolente; abbiamo già visto che questo è un brano scientifico-filosofico, questo vuol dire che in una lingua dall'inesauribile ricchezza semantica come il greco occorre andare col lanternino tra le fitte colonne del vocabolario alla ricerca di un traducente adeguato al contesto. Il problema è che a parte il nome dell'autore e un titolo ricolmente generico e non poco fuorviante ("Non il caso ma la finalità regna delle opere della natura", quasi la parafrasi di un intricatissimo periodo al centro della versione; viene da pensare che se i redattori della prova avessero tracciato una linea dal titolo a quella frase avrebbero fatto cosa utile, visto che non si sono sprecati altrimenti), non vi erano indicazioni che rimandassero al genere dell'opera (non esattamente letta al liceo) e al lessico specifico, indicazioni indispensabili quando si scelga un'opera tanto inconsueta, quanto ardua da rendere in italiano (salvo la prima frase, traducibile quasi ad occhio; sadismo ministeriale?).
Insomma, tirando le somme di questa divagazione da pomeriggio di vacanze, penso che ci si possa ispirare al titolo di questa opera aristotelica per un giudizio sulla versione: davvero una prova bestiale.
Penso comunque che gli esaminandi non abbiano di che preoccuparsi: la prova sarà corretta dai loro professori di greco che non mancheranno di trovare molto di buono in traduzioni comprensibilmente faticose e affaticate.
Davvero una prova bestiale.
Proviamo a leggere il testo:
δεῖ μὴ δυσχεραίνειν παιδικῶς τὴν περὶ τῶν ἀτιμοτέρων ζῴων ἐπίσκεψιν. Ἐν πᾶσι γὰρ τοῖς φυσικοῖς ἔνεστί τι θαυμαστόν· καὶ καθάπερ Ἡράκλειτος λέγεται πρὸς τοὺς ξένους εἰπεῖν τοὺς βουλομένους ἐντυχεῖν αὐτῷ, οἳ ἐπειδὴ προσιόντες εἶδον αὐτὸν θερόμενον πρὸς τῷ ἰπνῷ ἔστησαν (ἐκέλευε γὰρ αὐτοὺς εἰσιέναι θαρροῦντας· εἶναι γὰρ καὶ ἐνταῦθα θεούς), οὕτω καὶ πρὸς τὴν ζήτησιν περὶ ἑκάστου τῶν ζῴων προσιέναι δεῖ μὴ δυσωπούμενον ὡς ἐν ἅπασιν ὄντος τινὸς φυσικοῦ καὶ καλοῦ.
Τὸ γὰρ μὴ τυχόντως ἀλλ' ἕνεκά τινος ἐν τοῖς τῆς φύσεως ἔργοις ἐστὶ καὶ μάλιστα· οὗ δ' ἕνεκα συνέστηκεν ἢ γέγονε τέλους, τὴν τοῦ καλοῦ χώραν εἴληφεν. Εἰ δέ τις τὴν περὶ τῶν ἄλλων ζῴων θεωρίαν ἄτιμον εἶναι νενόμικε, τὸν αὐτὸν τρόπον οἴεσθαι χρὴ καὶ περὶ αὑτοῦ· οὐκ ἔστι γὰρ ἄνευ πολλῆς δυσχερείας ἰδεῖν ἐξ ὧν συνέστηκε τὸ τῶν ἀνθρώπων γένος, οἷον αἷμα, σάρκες, ὀστᾶ, φλέβες καὶ τὰ τοιαῦτα μόρια. Ὁμοίως τε δεῖ νομίζειν τὸν περὶ οὑτινοσοῦν τῶν μορίων ἢ τῶν σκευῶν διαλεγόμενον μὴ περὶ τῆς ὕλης ποιεῖσθαι τὴν μνήμην, μηδὲ ταύτης χάριν, ἀλλὰ τῆς ὅλης μορφῆς, οἷον καὶ περὶ οἰκίας, ἀλλὰ μὴ πλίνθων καὶ πηλοῦ καὶ ξύλων· καὶ τὸν περὶ φύσεως περὶ τῆς συνθέσεως καὶ τῆς ὅλης οὐσίας, ἀλλὰ μὴ περὶ τούτων ἃ μὴ συμβαίνει χωριζόμενά ποτε τῆς οὐσίας αὐτῶν.
Segue una proposta di traduzione che mi sono divertito a mettere in piedi oggi pomeriggio, in un corpo a corpo reso più arduo dall'afa:
Non bisogna sdegnare, come dei bambini, l’indagine sugli esseri viventi più disprezzati. Infatti in tutte le realtà della natura vi è qualcosa di meraviglioso. Come si narra che Eraclito avesse detto agli stranieri che volevano incontrarlo, i quali, dal momento che entrando lo videro che si scaldava vicino al forno, si fermarono (li invitava a entrare senza timore; infatti anche in quel luogo anche gli dei), così si deve approcciarsi alla ricerca su ciascun essere vivente non con turbamento, poiché in tutto c’è qualcosa di naturale e di bello. Infatti soprattutto nelle opere della natura non vi è nulla a caso, ma in vista di qualcosa. Ciò per cui si costituì e generò, prese la specie del bello. Se uno ha ritenuto indegno lo studio degli altri animali, bisogna che pensi la medesima cosa anche su se stesso; infatti non è privo di molto fastidio il vedere da quali elementi è formata la specie degli uomini, come il sangue, le carni, le ossa, le vene e le parti di tal genere. Ugualmente occorre pensare che chiunque parli delle parti o degli strumenti non faccia menzione della materia, né in vista di questa, ma di tutta la forma, come riguardo alla casa, non citi i mattoni, l’argilla e il legno. Anche chi studi la natura faccia menzione della combinazione e dell’intera realtà, ma non di tali parti che non accade mai che siano separate dalla loro sostanza.
La traduzione è tutt'altro che limpida, lo riconosco subito, ma si tratta di un greco tutt'altro che agevole, soprattutto a partire dalla seconda parte del testo, nel quale abbondano i sottintesi, difficilissimi da recuperare per chi si attende che tutti i significati si possano trovare agevolemente nel campo della frase stampata davanti agli occhi. L'ultimo periodo, poi, era correlato al precedente dal quale occorreva riprendere l'inezia di due verbi lasciati impliciti nel testo compendiario dello Stagirita.
D'altra parte, come noto, i trattati di Aristotele erano come appunti finalizzati alle lezioni che il Filosofo andava svolgendo nel Liceo. Un esempio si può riscontrare nella citazione di Eraclito che viene quasi solo enunciata, lasciando in inciso la storia vera e propria, come un appunto vergato di fretta per ricordarsi di raccontare l'episodio con maggiore ampiezza durante la spiegazione. Non si tratta, dunque, di una prosa ben tornita come quella che in genere viene proposta allo studente, il quale spesso ha la pigrizia mentale di non ragionare su quello che non torna nel testo, ma caparbiamente tenta di tradurre infilando l'una dopo l'altra le parole che incontra, spesso senza nemmeno riflettere sul lessico specifico, ma accontentandosi delle prime accezioni presentate dal Rocci o dal Montanari.
Proprio il lessico è l'altra nota dolente; abbiamo già visto che questo è un brano scientifico-filosofico, questo vuol dire che in una lingua dall'inesauribile ricchezza semantica come il greco occorre andare col lanternino tra le fitte colonne del vocabolario alla ricerca di un traducente adeguato al contesto. Il problema è che a parte il nome dell'autore e un titolo ricolmente generico e non poco fuorviante ("Non il caso ma la finalità regna delle opere della natura", quasi la parafrasi di un intricatissimo periodo al centro della versione; viene da pensare che se i redattori della prova avessero tracciato una linea dal titolo a quella frase avrebbero fatto cosa utile, visto che non si sono sprecati altrimenti), non vi erano indicazioni che rimandassero al genere dell'opera (non esattamente letta al liceo) e al lessico specifico, indicazioni indispensabili quando si scelga un'opera tanto inconsueta, quanto ardua da rendere in italiano (salvo la prima frase, traducibile quasi ad occhio; sadismo ministeriale?).
Insomma, tirando le somme di questa divagazione da pomeriggio di vacanze, penso che ci si possa ispirare al titolo di questa opera aristotelica per un giudizio sulla versione: davvero una prova bestiale.
Penso comunque che gli esaminandi non abbiano di che preoccuparsi: la prova sarà corretta dai loro professori di greco che non mancheranno di trovare molto di buono in traduzioni comprensibilmente faticose e affaticate.
Davvero una prova bestiale.
Nessun commento:
Posta un commento