Benedetto XVI, parlando domenica 9 ottobre alla folla calabrese ospitata in una vasta area industriale dismessa di Lamezia Terme, ha auspicato che scaturisca una nuova generazione di uomini e di donne capaci di promuovere non tanto interessi di parte ma il bene comune.
Nelle parole del Papa possiamo trovare i nodi di quella questione cattolica che sembra agitare questi momenti convulsi della fine della cosiddetta seconda Repubblica.
Marginali, quando non avversati e combattuti, nel processo risorgimentale e negli anni dei governi liberali postunitari, i cattolici sono stati tra i protagonisti principali della scena politica italiana nel Novecento, in particolare con l'avvento della repubblica. L'esperienza storica della Democrazia Cristiana ha guidato lo sviluppo del Paese in un progresso sociale ed economico senza precedenti, un merito ora riconosciuto anche dai detrattori più implacabili.
Quando quel partito politico esaurì la sua funzione, sia per il crollo del muro di Berlino che fece venir meno il bisogno di una diga anticomunista, sia per l'esplodere di tangentopoli che rivelò come il malaffare avesse sostituito la testimonianza sui valori nei cuori di molti dirigenti politici, parve essere cessata la stessa stagione dell'impegno unitario dei cattolici in politica.
Malgrado il generoso e incompreso tentativo di Mino Martinazzoli di rifondare l'impegno dei cattolici democratici, la diaspora fu inarrestabile: nei primi anni Novanta sembrava che il buono e il bello risiedessero sono nell'alternanza di governo tra forze politiche contrapposte. In questo modo i cattolici rinunciarono ad animare un partito laico che mirasse al bene comune senza calcoli di parte, per dividersi tra le trincee contrapposte, combattendo per interessi sempre più ristretti e particolari.
A venti anni di distanza appare sempre più evidente l'esito fallimentare di questa scelta. A destra si riproponeva un'artificiosa barriera anticomunista, basata non più sui valori e sulla capacità di offrire al Paese un avvenire di benessere, ma sull'aritmetica bottegaia in grado di sommare liberalismo arruffone, secessionismo da parata e nostalgie affette da camaleontismo tattico e contraddittorio. A sinistra l'abbraccio via via più stretto con i metamorfici discendenti del comunismo generava una palude di veti contrapposti tra posizioni massimaliste e riformiste, senza riuscire a dare vita a una proposta di governo forte e autorevole del Paese, se non nella prima stagione di Romano Prodi, che però a giudizio di Martinazzoli commise l'errore di porsi come l'abbattitore dello steccato tra guelfi e ghibellini, dimenticando che questo era già riuscito bene a Sturzo, De Gasperi e a Moro.
Non che in tutto questo tempo i cattolici non abbiano influito sulla scena pubblica, ma soprattutto grazie all'episcopato (memorabili Monsignor Camillo Ruini a lungo presidente della CEI e il suo slogan Meglio contestati che ininfluenti) e alla forza dell'associazionismo ecclesiale. Proprio da questo vasto tessuto sociale si intende ripartire oggi per rianimare una politica da cattolici che sia per l'appunto universale negli intenti e nei valori, nella fiducia di poter proporre un progetto utile per il futuro dell'Italia, prima ancora che per questa o per quella barricata, coniugando l'ispirazione evangelica con lo sguardo franco sull'uomo, sulla sua dignità e i suoi bisogni, in modo da promuovere una società giusta e pacifica. Questo il progetto, questa la tensione che si fa sempre più forte nelle comunità ecclesiali per reagire a questi tempi grami. Sembrano mancare solo i capi, ma forse è un bene, se fossero già in campo sarebbero gli stessi che hanno dissipato per incoscienza e opportunismo un'eredità preziosa. Quod Deus avertat.
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