lunedì 22 settembre 2008

Una road map europea per il Caucaso

da Il Messaggero dorso Abruzzo cronaca di Pescara del 21 settembre 2008

"La Sala consiliare del Comune di Pescara ospita domani alle ore 18 un convegno sul tema “Una road map europea per il Caucaso”, organizzato dalla Fondazione Europa Prossima e con illustri ospiti nel ruolo di esperti. Dal presidente della stessa Fondazione, un’anticipazione delle ragioni e dei contenuti di quest’evento.

di MARCO PRESUTTI*

"Una road map europea per il Caucaso". Il tema che la Fondazione Europa Prossima ha scelto per il convegno di domani pomeriggio rischia di evocare la dimensione dell'utopia, di fronte all'irrilevanza dimostrata dalle istituzioni europee nel corso della gravissima crisi georgiana di agosto. Malgrado il dinamismo personale dimostrato anche in questa occasione da Sarkozy nella veste di presidente di turno dell'Unione, è risultata evidente la mancanza di una condivisione delle nazioni europee sulle strategie da adottare di fronte all'esplodere della tensione nell'area caucasica. Tra la nuova politica russa di potenza e quella americana di allargamento di influenza nello scacchiere caspico, delicatissimo per le forniture degli idrocarburi, l'Unione europea rischia di essere la grande assente, inibita dalla dipendenza dalle forniture energetiche russe e da un atlantismo in ribasso dopo la presidenza di Bush.
Eppure questa materia ci riguarda profondamente, non solo per solidarietà umana nei confronti delle popolazioni di quelle terre martoriate, vittime di potenze che le usano come pedine del Risiko, ma anche perché il Caucaso rappresenta lo snodo di un sistema di tre mari: Caspio, Nero e Mediterraneo sono vitali per il futuro della nuova Europa e ancora di più per noi che nell'Adriatico rappresentiamo il polo terminale di questo grande sistema di comunicazione. Non possiamo rimanere inerti. Con Emma Bonino, vice presidente del Senato, Lucio Caracciolo, direttore di "Limes", Giuseppe Cucchi, di "Nomisma" e Nicola Maria Toraldo-Serra cercheremo di capire quale ruolo dobbiamo svolgere come europei.

*Presidente Fondazione Europa Prossima ".

domenica 21 settembre 2008

Amore per la verità, amore per la scuola

Questo ho pensato leggendo in ritardo il bellissimo articolo di Giorgio Israel sul Messaggero del 15 settembre scorso, primo giorno di scuola.
Lo riproduco a beneficio di tutti gli amici che passassero da queste parti e che condividessero gli stessi sentimenti e le stesse ragioni per la scuola e per i nostri studenti.

"Primo giorno di scuola
L’anno scolastico si apre in una fase cruciale per il futuro della scuola italiana. È da augurarsi che prevalgano atteggiamenti razionali e costruttivi, che si prenda atto dei problemi anziché oscurarli con gli slogan, le fasce nere al braccio e le occupazioni di scuole. Si ripete ogni giorno che nessun paese come l’Italia ha tanti insegnanti mal pagati e frustrati. Non è razionale ignorarlo e chiedere altre infornate di precari. L’era della scuola come ammortizzatore sociale è finita ed è irresponsabile tentare di perpetuarla. La nostra scuola è afflitta dal bullismo, dalla mancanza di disciplina e dal disordine. Non è razionale opporre alle misure del ministro Gelmini sul ripristino del voto in condotta, dei voti in pagella e del recuperi dei debiti formativi, il solito “ben altro servirebbe” , che si riduce a riproporre ostinatamente le ricette che hanno condotto all’attuale situazione. Grandinano sulla nostra scuola valutazioni negative che collocano a livelli molto bassi i nostri studenti, soprattutto per le conoscenze matematiche e linguistiche. Nell’impossibilità di ignorare questi fatti, troppi si comportano come se dipendessero da tutto salvo che dalla scuola: per loro, è come se si trattasse degli effetti di una grandinata su un magnifico vigneto. Tutto ciò è ridicolo. I pessimi rendimenti della scuola italiana non sono effetto del destino cinico e baro.
È quindi da sperare che, di fronte ai provvedimenti presi dal Ministro Gelmini – e da quelli che seguiranno – ci si astenga da agitazioni inconsulte e irragionevoli; tanto più in quanto basta guardare ai sondaggi in rete dei maggiori quotidiani per constatare che questi primi provvedimenti ottengono gradimenti dall’80% al 90%. È inutile illudersi di essere maggioranza solo perché si strilla di più, parlare a sproposito di “rivolta delle famiglie”, opporsi a tutti i costi avanzando quelle che Mario Pirani ha definito critiche «fastidiose e inconcludenti mosse in nome di uno slogan tipico degli eserciti destinati alla sconfitta: “indietro non si torna”». Quando “Famiglia Cristiana” accusa il Ministro di procedere senza dibattiti e confronti con il mondo della scuola, e senza consultare esperti, «solo con le competenze di casa sua, la madre e la sorella maestre» non soltanto ricorre a polemiche di infimo livello, ma rivela il vero intento: quel che si vuole non è tanto il dialogo quanto il continuare a considerare come referente principale e unico “competente” quel complesso sindacale-psico-pedagogico-docimologico che domina la scuola da trent’anni e che è responsabile del suo stato attuale. Altrimenti, si dice, «la scuola resterà, come diceva don Milani, un ospedale che cura i sani e rifiuta i malati». Il fatto è che la scuola che cura i sani e rifiuta i malati è proprio quella di oggi, più di quella di ieri. Dopo aver predicato per decenni contro la “scuola di classe”, essa è stata finalmente realizzata, appiattendo tutti verso il livello più basso anziché motivare tutti a elevarsi verso l’alto. In nome dell’interesse primario per il “malato” abbiamo creato una scuola dequalificata che lascia soltanto ai figli dei colti e dei ricchi la possibilità di andare avanti mentre i “malati” sono condannati a restare tali, se non ad ammalarsi più gravemente. È probabile che oggi don Milani, da persona intelligente e intellettualmente onesta, si metterebbe le mani nei capelli nel vedere a cosa ha condotto la demagogia egualitarista e prenderebbe le distanze dal “donmilanismo”, a differenza chi si crogiola nel conservatorismo delle idee preconcette e degli interessi costituiti.
Il conservatorismo si nutre di slogan ripetuti ossessivamente senza riguardo ai fatti. Il più clamoroso di questi slogan è la formula secondo cui la scuola elementare italiana sarebbe una delle migliori del mondo e l’introduzione del maestro unico distruggerebbe il “fiore all’occhiello” della nazione. Si citano statistiche che proverebbero tale qualità, tra cui un recentissimo rapporto Ocse che, nel sottolineare la generale catastrofe della scuola italiana, salverebbe le primarie. Non si dice però che anche questo rapporto riguarda dati meramente strutturali e non ha preso in esame la qualità degli apprendimenti: che l’Italia investa nella scuola primaria più risorse della media Ocse è evidente (visto il numero di maestri!) e soltanto per questo si colloca in buona posizione. Ma ciò non dice nulla sui risultati di tali investimenti! Difatti, la stessa Ocse ha osservato che il vero problema è che i fondi sono spesi esattamente all’opposto di quanto fa la Corea del Sud dove vi sono meno professori e meglio pagati. E pure entro il quadro Ocse – le cui primarie sfigurano rispetto a quelle di diversi paesi emergenti – le classi elementari italiane hanno un numero di alunni inferiore alla media e tempi netti di insegnamento molto bassi.
Chi ripete lo slogan che la scuola primaria italiana è tra le migliori del mondo sfrutta la buona fede di chi crede che essa sia sempre la stessa e non sa che è stata rivoltata come un calzino dal 1985 in poi. Essa è piuttosto il fiore all’occhiello del pedagogismo dell’autoapprendimento, dell’“apprendere ad apprendere” in barba alle conoscenze, del “meglio una testa vuota ben fatta che una testa piena”. È la scuola in cui non si insegnano i “fatterelli” della storia – come ha scritto una maestra su questo giornale – bensì si studia la linea del tempo, le dinamiche astratte dei processi storici, le “cause” del crollo degli imperi senza conoscere un solo impero reale. È la scuola in cui la geografia è studio astratto della “spazialità”, analisi del “davanti”, “dietro”, “sopra” e “sotto” (orrendamente chiamati “indicatori topologici”). È la scuola in cui la matematica è ridotta a manipolazioni con disegni e colori. È una scuola frantumata in miriadi di “offerte formative” disparate: sicurezza, privacy, prevenzione incendi, progetti di canto, teatro, danza, fotografia ecc.
Si guardi inoltre al percorso formativo attuale di un maestro. Non sono pochi i corsi di laurea che permettono di diventare maestri seguendo una trentina di ore di matematica e di storia moderna (soltanto moderna), con casi limite in cui la matematica è opzionale rispetto a materie come la pediatria. La componente psicopedagogica è dilatata in modo esorbitante fino a occupare l’80% del corso di studio relegando la parte disciplinare alla misera quota restante. Così otterremmo maestri specializzati capaci di produrre un mirabile intreccio di competenze? In realtà, oggi noi formiamo psicopedagoghi dotati di un’evanescente infarinatura di conoscenze disciplinari. Per cui, la polemica contro il maestro unico “tuttologo” è priva di qualsiasi serio fondamento.
Va comunque detto che se la scuola italiana (non soltanto la primaria) non va a fondo del tutto è per merito di migliaia di insegnanti che continuano a concepire la loro professione come una missione educativa basata sulla trasmissione della conoscenza e che, non a caso, sono considerati da certi teorici dell’ “apprendere ad apprendere” come il più grande ostacolo al dominio incontrastato delle loro fallimentari teorie".

(Il Messaggero, 15 settembre 2008)

venerdì 12 settembre 2008

Caro PD, ascolta Claudia Mancina

Stava quasi per prendermi lo sconforto. Aggredito e pressato dalla logora e retriva pletora sindacale che da sempre, in società con la congrega dei "pedagogisti democratici", detta il bello e cattivo tempo nel campo della scuola, il PD si preparava come un sol uomo alla battaglia di settembre contro Mariastella Gelmini, vituperata Ministro della Pubblica Istruzione.
Mobilitazione generale al grido : salviamo la scuola pubblica contro l'affondamento della scuola pubblica italiana. No all'autoritarismo, no al classismo, no all'impoverimento curriculare e didattico, no al ritorno al maestro unico.
Una scempiaggine colossale. La verità è che la scuola italiana è allo sfascio e che bisogna urgentemente porre dei rimedi. La strada del rigore, del ritorno alla valorizzazione del merito e dei contenuti solidi, della disciplina, del taglio dei posti inutili è la strada giusta per dei riformisti che abbiano a cuore una scuola migliore per gli italiani di domani.
Temevo quasi che il mio partito, colto da un furore dipiestrista di opposizione a prescindere, tenesse monoliticamente questa rotta sciagurata, vanificando con ciò ancora una volta l'impegno che abbiamo preso con il Paese di voler riformare l'Italia.
Per fortuna oggi sul Riformista Claudia Mancina ha detto una cosa seria e positiva. Non si tratta di combattere la Gelmini nel suo tentativo di cambiare le cose, ma di sfidarla a realizzare quello che dice, per il bene della scuola e degli italiani.
Brava Claudia, la tua è una voce democratica che canta fuori dal coro sovietico che nel partito abbiamo sentito negli ultimi giorni.

Da "IL RIFORMISTA" di venerdì 12 settembre 2008

"CARO PD LA GELMINI HA RAGIONE
DI CLAUDIA MANCINA
La scuola costituisce da sempre un lato molto esposto del profilo riformista della sinistra. Esposto, cioè, alla regressione negli antichi vizi dell`opposizione comunista: statalismo, corporativismo, propagandismo.Anche oggi il Pd sembra voler raccogliere le truppe di un`opposizione dispersa contro le misure del governo sulla scuola, promettendo un autunno caldo che ricalca quello che nel 2001 oppose il centrosinistra alla Moratti. Le ragioni di questa sensibilità non sono difficili da individuare. La prima attiene a una tradizione culturale.

La sinistra si è sempre battuta per l`efficienza e la dignità del sistema pubblico, per l`accesso egualitario, peri diritti degli studenti e degli insegnanti, per la democrazia scolastica.

Ha l`orgoglio di avere ispirato la maggiore (se non unica) riforma del dopoguerra, quella che istituì la scuola media unica. Tutti obiettivi estremamente meritori, che tuttavia non possono essere ripresentati oggi tali e quali.

Un`altra evidente ragione, meno nobile ma non meno stringente è che in questa enorme azienda e nel suo indotto - le famiglie - la sinistra trova da sempre una parte consistente e molto attiva della sua base elettorale e d`opinione, con la quale la Cgil fa da cerniera.

La centralità della scuola tuttavia si fa sentire soprattutto quando c`è da fare campagna di opposizione. Sul piano proprio del rifonnismo, dopo la stagione di Luigi Berlinguer, in gran parte fallita proprio per gli ostacoli posti dal sindacato e dal tradizionalismo della sinistra, non è che si sia visto o si veda molto, al di là di un buonsenso democristiano anni Cinquanta, rimesso in circolazione dal passato ministro e dall`attuale governo ombra.

Siamo oggi di fronte a una nuova titolare del ministero, che sta presentando qualcosa di simile a un progetto di riqualificazione della scuola pubblica in base a principi quali il merito, la responsabilità, l`autonomia e la valutazione.

Sono principi che il Pd dovrebbe condividere. L`affermazione fondamentale è che la funzione della scuola è quella di formare le nuove generazioni e non quella di combattere la disoccupazione. A partire da qui (o, con le parole di Attilio Oliva, guardando la scuola finalmente dalla parte degli studenti e non da quella degli insegnanti) andrebbe disegnato l`intervento dell`opposizione. La Gelmini dovrebbe essere sfidata a realizzare davvero quello di cui parla. Poi le sue proposte si potranno criticare, e se ne potranno fare di diverse. Ma altra cosa è tirare fuori il solito armamentario dell`attacco alla scuola pubblica, al tempo pieno all`occupazione, ai precari eccetera.
Guardiamo la questione della scuola elementare, l`unica sulla quale c`è un atto concreto (anche se ancora vago quanto all`attuazione). Si può dire che il ritorno al docente unico è solo una questione di tagli, ma è altrettanto lecito pensare che il passaggio al docente plurimo fu essenzialmente una scelta occupazionale.

Poi ci sono argomenti pedagogici a favore dell`una come dell`altra opzione. E del resto, da quando i tagli in una struttura mastodontica, costosissima e inefficiente sono un disvalore? Si dovrebbe piuttosto ragionare su quali altri tagli, magari più produttivi, siano possibili, per esempio intervenendo sull`organizzazione del lavoro e sul dimensionamento delle strutture. Ma i tagli, che sono stati resi inevitabili dalla contrazione demografica prima ancora che dalle difficoltà finanziarie, sono cominciati almeno col governo Amato (1992). Da allora, con la parentesi Berlinguer, la sinistra che si dice riformista non è stata capace di produrre un progetto per la scuola che non fosse la cieca battaglia per lasciare tutto com`era, magari spendendo di più.

La scuola italiana com`è non funziona. Non funziona come agenzia di istruzione come risulta dall`alto numero di abbandoni e come può dire chiunque insegni all`università e si veda arrivare ogni anno studenti un po` più impreparati.

Non funziona come agenzia formativa, come risulta dall`evidente crisi di identità e di ruolo degli insegnanti, dalla diffusione di comportamenti devianti tra gli studenti, dalla crescente difficoltà dei professori di coinvolgere l`interesse degli allievi sulle materie eurrieolari. Non funziona neanche dal punto di vista democratico, perché non riesce a compensare le diseguaglianze di opportunità dovute alla nascita. Sono problemi grossi, e se Veltroni pensa davvero che la formazione sia vitale per il paese dovrebbe portare il suo partito ad analizzarli e a fare proposte per affrontarli. Vorrei sentir dire al Pd che l`insegnamento è una professione, e quindi bisogna introdurre una reale differenziazione di ruoli e di stipendi tra gli insegnanti; che bisogna formarli all`uso attivo e creativo delle tecnologie nella didattica, che bisogna formare i presidi alla direzione aziendale; che bisogna accorciare il ciclo di studi di un anno, per evitare che i nostri ragazzi siano svantaggiati nel confronto con gli altri paesi europei; che bisogna abolire l`esame di maturità e sostituirlo con prove scritte corrette da agenzie esterne; che bisogna dare alle scuole reale autonomia e quindi la libertà di assumere i docenti sulla base di liste di idonei; che i genitori sono chiamati a condividere la responsabilità educativa ma non devono intromettersi nella responsabilità professionale dei docenti. Sono scelte difficili e impopolari, e il Pd non sembra intenzionato a farle. Dubito che la ministra Gelmini ci riesca, visto il destino di chi prima di lei aveva tentato alcune di queste strade. In Italia si parla molto della centralità della scuola, della sua crisi, della sua mancata altissima funzione culturale, ma poi si rifugge dallo sfidare il potentissimo blocco di opinione, trasversale agli schieramenti po1i1ici, che rifiuta qualunque intervento riformatore. Se però la ministra riuscisse a fare anche una sola delle cose di cui parla, sarebbe ancora una volta un punto per il governo e un`occasione perduta per il Pd".



Caro Walter, dici che è proprio il caso di perderla questa occasione? Io non me la perdo e per quello che posso mi impegno a favorire la riforma della scuola.

domenica 7 settembre 2008

Libera nos a schola matriarcali

Non mi capitava da tempo di leggere un articolo (sul Giornale peraltro) che condividessi dalla prima all'ultima riga.
Ieri mi è successo. Per festeggiare l'evento, riporto per intero l'intervento di Geminello Alvi sul Giornale del 6 settembre 2008 (pag. 13)

"La Gelmini ci salverà dalla scuola matriarcale"

Si vive di apparenze, giacché a ben vedere abbiamo in questa vita solo quelle. E a studiarsela nelle foto la ministra Gelmini Mariastella parrebbe perfetto archetipo di professoressa, con nome acconcio. Adatto allo scassato gineceo di laureate in crisi di nervi, che educano alla noia gli studenti con la stessa stanca fretta con cui fanno la spesa. Perché questo è ora in Italia la scuola: luogo dove non solo la cultura massificandosi s’è immiserita; come previsto da Nietzsche. Ma inoltre pure sede di procedura devirilizzante, per esclusiva somministrazione di insegnanti donna. Dalle tre maestre per classe alle schiere di casalinghe traviate nelle medie superiori, dove il livello finale di ignoranza risulta peggiore addirittura di quello europeo. E la Gelmini di questo insistito spreco di anime giovani, per via di massificazione e matriarcato, parrebbe coi suoi occhialini la perfetta incarnazione. Invece ci sorprende: da ministra, sia benedetta, difende i due atti più sani ed eversivi che potevano pensarsi. Dimagrisce in un triennio di 87 mila unità gli, e soprattutto le, insegnanti; proclama la riforma delle scuole in fondazioni. E la direi solo perciò genio virile e pratico.
La scuola di Stato fu un espediente napoleonico, col quale si costrinse l’istruzione ai tornaconti statali. L’istruzione divenne un permesso di Stato, con programma di studio prescritto, che doveva accordarsi ai fini politici. Fosse quella di Bismarck o di Crispi cambiava poco: il sistema doveva creare un’élite utile alla burocrazia prima, e nel Novecento alla massificazione, fino alla decadenza presente, di una cultura la cui misura è solo il denaro, l’economia. Questo l’esito della scuola statale: una società in cui molti, più di prima, leggono libruzzi, ma sono rare e molto desuete le menti originali e libere, anche se tutti si pretendono tali. Oggi del resto la scuola non forma neppur più le élite: asseconda le manie di massa, che l’utile inventa e la tv plasma. Questo il disastro, del quale va preso atto. Concluso da una riforma Berlinguer che ha completato la distruzione ultima di quanto non era stato già guastato dal ’68. La nostra università è ormai l’imitazione di una università americana, ma pensata da un comunista albanese. Insomma tutta la scuola ormai perpetua l’uccisione della morale e del libero pensiero, con la complicità dello Stato. E appunto perché terminerebbe questa pessima complicità, una scuola articolata in fondazioni sovvertirebbe il male, e migliorerebbe tutto.
Infatti una scuola di fondazioni, o un’università, sarebbe una nella quale i sindacati non avrebbero il consenso della politica, come lo hanno avuto per rovinare le elementari o viziare i bidelli. Sarebbe una scuola a cui lo Stato potrebbe conferire parte dei suoi immensi e morti patrimoni da far fruttare, così da limitare le spese correnti. Il conferimento di doni privati permetterebbe in sovrappiù di reclutare docenti migliori, forse anche maschi, e di pagarli meglio sulla base del loro merito. I concorsi statali per insegnanti, come i provveditorati, lande immorali, svanirebbero. Il reclutamento riguarderebbe solo il merito: sarebbe cooptazione dei migliori, senza più Tar. E sarebbe peraltro pure la fine della pessima scuola privata che ci ritroviamo. La fine del valore legale dei titoli di studio renderebbe vani i corsi di recupero. E le scuole esclusive si misurerebbero sul pregio degli insegnanti e degli alunni; non più sul censo. Conterebbe solo il pregio, il che richiederebbe finalmente la fine del libro di testo. Un sogno, nel quale la natura pubblica della scuola sarebbe peraltro garantita da borse di studio per i meritevoli. Gli altri, non nati per studiare, si addestrerebbero ai nobili lavori manuali, così da limitare gli immigrati, nonché l’odierno spreco energetico nelle palestre. Vantaggi per il bilancio statale, e per la morale, per i mestieri non celebrali, e sollievo spirituale e virile di una nazione. Questo l’esito di quanto dice ora la Gelmini, redenzione delle apparenze e delle professoresse, rivolte speriamo a altri destini.
Geminello Alvi

Parole sante.