martedì 15 aprile 2014

Qualche motivo per candidarmi al Consiglio comunale: rendere Pescara una città che sale

Molti dicono: mi sono candidato rispondendo a un invito. In genere non si aggiunge di chi sia l'invito, né quali ne siano i motivi.

Io mi candido perché qualche motivo ce l'ho e provo ad accennarlo qui.

Mi candido al Consiglio comunale di Pescara alle prossime elezioni del 25 maggio, perché non è possibile seguire la politica solo studiandola come problema storico o come nodo del presente, senza farsi carico di aggregare consenso attorno a una proposta di programma con cui intervenire nella realtà economica e sociale per migliorarla.

In questo atteggiamento io credo che sia possibile ritrovare le ragioni per la bella politica. Secondo me si trovano nella passione, nell’ascolto, nel confronto, nelle proposte che ne derivano e nell’attenzione alla cultura, ai giovani, alle idee, all'impresa, alla qualità degli spazi pubblici.
Questa è la ricetta per venire fuori dal fondo del pozzo in cui pare trovarsi il dibattito pubblico a Pescara e per proporre una città che sale, che riprenda il suo cammino di crescita al servizio di tutto l'Abruzzo, ritrovando il suo rapporto speciale con l'Adriatico, nelle cui relazioni deve tornare ad essere centrale.

La città che sale è il titolo di un famoso quadro di Umberto Boccioni (1910-1911), nel quale l’artista voleva celebrare l’espansione vibrante e dinamica della realtà moderna, con una vera e propria esaltazione dell’energia e del lavoro che fervono in una dimensione urbana che si trasforma e cresce.
Ovviamente è solo una suggestione, ma credo trasmetta entusiasmo, desiderio di cambiamento, progresso economico, civile e culturale, realizzazione di una novità che sappia subentrare all’inadeguato e allo stantio.


La città che sale è come io concepisco Pescara, è come voglio che sia, come mi propongo di renderla con l'aiuto di tutti, sostenendo il candidato Sindaco Marco Alessandrini.

U. Boccioni, La città che sale, 1910-1911

giovedì 13 febbraio 2014

Con Enrico Letta per un'idea democratica della politica, contro il furore ambizioso dei demagoghi


Questo è uno dei giorni in cui chi voglia fare politica ha il dovere di metterci la faccia.
In questo giorno un governo che si è fatto l'onere di guidare il Paese nel momento più critico sta per essere travolto dal personalismo aggressivo di un leader, Matteo Renzi, che ha deciso di prendere il potere senza rischiare il confronto con gli elettori. 

Il governo cadrà non perché abbia fallito, non perché manchi di un programma, ma perché Renzi e i suoi non possono attendere il consenso degli elettori e, senza aver ricevuto alcun mandato, assaporano il potere. 
Un potere che sarà aggressivo ed arruffone, un potere che resterà in sella sino a che i gruppi di pressione e di denaro che oggi lo sostengono, non lo butteranno giù di sella. 
Allora il PD resterà senza alcuna credibilità, una forza inerte che sarà travolta dalle magie del Cavaliere o dai maramaldismi sfascisti di Grillo. 
Contro tutto questo io levo un monito a quanti hanno responsabilità nel PD: fermate questa sventura, impedite la caduta del governo, si realizzi l' "Impegno Italia", si facciano le riforme presentate dal segretario e poi si voti. 
Possiamo ancora evitare la catastrofe ventura del PD e l'ennesimo danno per l'Italia.
Qualcuno mi farà osservare che nel 2012 io preferii Renzi a Bersani: è vero, lo confermo, e in questo blog c'è ancora il post che pubblicai in quella occasione. Votai Renzi perché sapevo che Bersani non avrebbe avuto la forza di vincere le elezioni generali, Come poi avvenne.
Ma oggi l'azione di Renzi rischia di distruggere l'avvenire dei Democratici e di allontanare la ripresa del Paese, rischia di accreditare un'idea della democrazia come il primato del demagogo sul politico. A tutto questo non si può che resistere.
Ancora una volta sono Enrico Letta, ma questa credo che sia la votla più importante. 
Oggi si lotta per la nostra idea della politica.


Le regole sono che per fare un governo c'è bisogno di una maggioranza parlamentare. Io offro e propongo queste idee e il metodo con cui ho lavorato in questi mesi, che è un profilo a basso tasso di protagonismo ma con un alto tasso di concretezza e di voglia di fare le cose. Offro ai parlamentari e in primis al mio partito questo metodo
Enrico Letta, 12 febbraio 2014.


mercoledì 25 dicembre 2013

Un animo amante per il Natale

Natale resta un grande mistero. Dio che si incarna nelle membra indifese di un bimbo per amore.
Un mistero così bello che solo un autentico animo amante può comprendere. Per questo San Francesco è stato forse uno dei pochi a gustare davvero il senso del Natale, desiderando rinnovarne il miracolo anche con gli occhi del corpo, attraverso una rappresentazione organizzata molto semplicemente.
Ci affidiamo alla penna di Tommaso da Celano per rivivere quel Natale che davvero desideriamo far nostro. Che il Signore accetti l'intenzione, se la nostra povertà di animo e di cuore non ci consentirà di accostarci neppure di un poco all'esempio.

Giotto, Presepe di Greccio, Basilica superiore di S. Francesco, Asssisi

 84. La sua aspirazione più alta, il suo desiderio dominante, la sua volontà più ferma era di osservare perfettamente e sempre il santo Vangelo e di imitare fedelmente con tutta la vigilanza, con tutto l'impegno, con tutto lo slancio dell'anima e del cuore la dottrina e gli esempi del Signore nostro Gesù Cristo.

Meditava continuamente le parole del Signore e non perdeva mai di vista le sue opere. Ma soprattutto l'umiltà dell'Incarnazione e la carità della Passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente gli riusciva di pensare ad altro.
A questo proposito è degno di perenne memoria e di devota celebrazione quello che il Santo realizzò tre anni prima della sua gloriosa morte, a Greccio, il giorno del Natale del Signore.
C'era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne. Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse: "Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l'asinello". Appena l'ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l'occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo.
85. E giunge il giorno della letizia, il tempo dell'esultanza! Per l'occasione sono qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s'accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l'asinello. In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l'umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme.
Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero. La selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia.
Il Santo è lì estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione e di gaudio ineffabile. Poi il sacerdote celebra solennemente l'Eucaristia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima.
86. Francesco si è rivestito dei paramenti diaconali perché era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce tutti in desideri di cielo. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. Spesso, quando voleva nominare Cristo Gesù infervorato di amore celeste lo chiamava "il Bambino di Betlemme", e quel nome "Betlemme" lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. E ogni volta che diceva "Bambino di Betlemme" o "Gesù", passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole.
Vi si manifestano con abbondanza i doni dell'Onnipotente, e uno dei presenti, uomo virtuoso, ha una mirabile visione. Gli sembra che il Bambinello giaccia privo di vita nella mangiatoia, e Francesco gli si avvicina e lo desta da quella specie di sonno profondo. Né la visione prodigiosa discordava dai fatti, perché, per i meriti del Santo, il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori di molti, che l'avevano dimenticato, e il ricordo di lui rimaneva impresso profondamente nella loro memoria. Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia.

Tommaso da Celano, Vita Prima, 84-86 (FF. 466-471).

giovedì 12 dicembre 2013

Spunti inutili per disperare dell'Italia, il primo



Una vice preside (in realtà sarabbe una collaboratrice del dirigente nel terribile neoburocratese scolastico) ha ripreso due ragazze che pomiciavano allegramente nei corridoi della scuola.
Apriti cielo.
Proteste di ogni genere per un atto che sarebbe omofobo e intollerante. Si annunciano manifestazioni e proteste. Nella scuola, addirittura, si progetterebbe per sabato una protesta, ovviamente denominata con l'ennesimo anglismo kiss mob, che consisterebbe in un bacio collettivo nel parcheggio di fronte al liceo, evidentemente a seguito di partecipato filone di massa. Una ghiotta occasione, anche per i più imbranati, di scambiare effusioni in pubblico.
Ovviamente gli studenti sostengono che c'è molto di più, parlano persino di misteriose lettere anonime di denuncia contro le due ragazze e sostengono che la manifestazione ha il valore di sensibilizzare contro la cosiddetta omofobia, che affliggerebbe particolarmente la cara vecchia marca trevigiana.
Nessuno che dica una cosa molto semplice: a scuola non ci si bacia. Non è quello il luogo. Ben lo sanno quanti sono stati ripresi da me per questa e per altre ragioni.
Ma in questo Paese ogni scusa è buona per buttarla in caciara.
Ah, gli studenti da me ripresi erano di sessi diversi. Spero proprio di non venir preso per eterofobo, prima o poi.

mercoledì 11 dicembre 2013

Peste editoriale



Nicolas Poussin, La peste di Azoth, Museo del Louvre, Parigi


Nel mondo della grande editoria italiana vi è una peste chiamata Laura Donnini. A lei dobbiamo la banalizzazione definitiva della Mondadori (indimenticabile una oscena intervista a Simonetta Fiori su Repubblica, in cui la signora si vantava del successo delle Sfumature e annunciava nuove trilogie bollenti), e ora quella della RCS. La super manager venuta dalla Star, che in passato ha rivendicato con orgoglio la sua incompetenza letteraria, punterà tutte le risorse su bambini e intrattenimento. Oggi, in una ennesima intervista in ginocchio (non casualmente stampata sul Corriere), afferma senza pudore "la narrativa straniera è sempre stata un problema per Rizzoli che aveva un taglio aspirazionalmente (sic) letterario, invece vogliamo puntare di più sull'intrattenimento". Infatti la Rizzoli ha sfornato già i tre libri porcelli della Cao. Il pericolo è grande, RCS oltre a Rizzoli controlla Bompiani e Adelphi, quanto di poco buono resta nella nostra editoria. Speriamo che la peste passi in fretta e che dai lazzaretti esausti risorga qualche rivolo di buona letteratura.

lunedì 9 dicembre 2013

Non una biblioteca svenduta, una memoria profanata



Sabato, passeggiando per piazza Salotto, ho visto una bancarella di libri. Mi sono fermato incuriosito, perché ho visto che non era la solita rivendita di pubblicazioni improbabili e cartonate di libri a poco prezzo, ma un vero e proprio scaffale letterario: libri di linguistica, di dialettologia, di critica della letteratura. Un insieme organico, una biblioteca di studio, molti i titoli recenti.
Ho pensato, è morto un collega, i dannati eredi ne hanno venduto la biblioteca a un rigattiere per un pugno di euro. Avranno vuotato il suo appartamento, bisticciando per i mobili migliori, per qualche quadro, forse per qualche argento. I libri svenduti al quintale.
Sono rimasto avvilito. Quei volumi, testimoni di una frequentazione quotidiana di una mente interrogante, sono esposti nudi agli sguardi dei passanti.
Non erano più libri per me, ma una memoria profanata.
Terribile empietà di sopravvissuti incolti.

giovedì 5 dicembre 2013

La fiera del formalismo giuridico



L'Italia è prigioniera del diritto.
Se esiste al mondo una nazione in cui non conta il merito di una vicenda, ma la procedura attraverso cui si svolge, questa è l'Italia.
Soprattutto nell'inerzia generale della restante classe dirigente (politica, economica, scientifica) i giudici (penali, civili, amministrativi, sportivi, forse anche quelli cinofili) sono l'unico potere che tutto dispone, usando il grimandello della regolarità della forma e sorvolando sul contenuto della cosa.
L'ultimo esempio è quello di Stamina. Il Tar ha stabilito che la decisione del Comitato scientifico che ha bocciato il metodo Stamina sia sospesa, poiché alcuni dei componenti si erano già pronunciati sulla questione. In pratica è stato seguito il principio di analogia per cui un giudice, che si occupa di procedure, non può giudicare su una questione che lo coinvolga.
Spiace osservare che, al contrario, un comitato scientifico deve pronunciarsi sul contenuto e che in sede scientifica tale contenuto non può essere determinato dal parere personale dei valutatori. Poiché una cosa dimostrata scientificamente non può essere inficiata da una diversa convinzione personale e, se lo può, vuol dire che le difettava un fondamento solido.
Ma i giuristi versati all'analogismo giuridico tutto questo non lo hanno considerato e hanno sospeso la decisione degli scienziati, rinfocolando polemiche che era bene tenere spente, anche per non seguitare a illudere i malati di malattie gravissime.
Tuttavia questo è solo un esempio a caso. Già la cronaca di oggi ne fornisce già un altro: Nel 2011 Della Valle ha offerto venticinque milioni di euro per sponsorizzare la riqualificazione del Colosseo. Ovunque, soprattutto in questi tempi grami, si sarebbe giubilato e si sarebbe partiti allegramente coi lavori. In Italia no. Qui, tra un ricorso e un altro, forse si parte solo oggi, tre anni dopo. E non è che si possa stare tranquilli. Il cantiere potrebbe essere bloccato da un istante all'altro per qualche elucubrazione sulla procedura seguita.
Per non dire poi della scuola, in cui la giustizia amministrativa è il secondo grado dei consigli di classe. Un alunno incapace di seguitare con successo il corso di studi (una decisione in genere presa con molta sofferenza, dopo tentativi di ogni genere durati un anno, con molte discussioni tra docenti e dirigente) non viene ammesso all'anno successivo dal consiglio di classe. La famiglia fa ricorso al Tar, perché comunque tale decisione si configura come procedimento amministrativo (sventurata Italia stuprata dagli uomini di legge). Nel verbale magari era saltata una crocetta, da qualche parte non si è segnato il colloquio con la famiglia a maggio, un'altra cosa del genere (durante gli scrutini in pochi giorni si mettono a posto le carte relative a un anno di lavoro di centinaia di alunni) e il Tar revoca la delibera del consiglio di classe e dispone l'ammissione dell'alunno all'anno successivo. Ovviamente prescindendo dalla reale preparazione dell'alunno, delle sue competenze e conoscenze; certamente non sarà diventato dotto magicamente a colpi di carta bollata. Il vizio di forma giustifica lo stravolgimento della realtà.
Nel frattempo la scuola è corsa ai ripari per tutelarsi. Accade così che nelle aule italiane si sia indotti, molto più che pensare a strategie di formazione, a prepararsi a tattiche procedurali di resistenza in giudizio.
Ma torneremo a parlarne. Ogni giorno il formalismo giuridico rinnova la sua fiera. 

mercoledì 4 dicembre 2013

È vero, esiste una questione di genere

Sono anni che si pubblicano statistiche molto tirate sul fatto che le ragazze vanno meglio dei ragazzi negli studi, e tutto un sommo gaudio e un tripudio. Non uno che faccia un caveat sulla tipologia dei dati, sulle differenze di prestazioni tra i generi nell'età evolutiva. I dati si prendono così, buoni comunque. 
Le donne studiano meglio degli uomini. Arrendersi all'evidenza.
Ieri i dati Ocse Pisa dicono che i ragazzi in matematica vanno meglio delle ragazze e subito sul Corriere una lunga articolessa con richiamo in prima corre ai ripari: è una questione psicologica, non di reale incapacità. 
È vero, esiste una questione di genere.

Pagnottismi

I fondi disponibili per il miglioramento dell'offerta formativa delle scuole italiane ammontano a 984 milioni di euro, di questi tempi nemmeno pochissimi. Peccato, però, che i sindacati abbiano fatto una battaglia per segare via una fetta di 463 milioni da destinare per gli scatti al personale, che sono congelati dal 2010 per le note strettezze della finanza pubblica. 
Ma perché destinare una quota così rilevante di fondi a tal fine, sottraendola ad attività che possono migliorare la qualità della scuola? 
Il vantaggio è per la parte senescente del corpo docente, quella prossima alla pensione. Lorsignori vanno via col sistema retributivo e uno scatto sullo stipendio si traduce in un aumento della pensione. I sindacati per questo s'adoperano, confermando che quando parlano di scuola, parlano di pagnotte per i loro iscritti (prevalentemente pensionandi e pensionati).

domenica 2 dicembre 2012

Se oggi lo sconfitto è il PD. Ovvero perché ho provato a sostenere Renzi, pur non impazzendo per lui.

Ora che il secondo turno delle primarie è passato e che Bersani ha vinto con un pur non travolgente 60%, posso mettere qualche punto. Ho votato per Renzi pur non amandolo, semplicemente per sfrattare un sistema di potere che usurpa il PD contrastando le ragioni stesse per cui è nato. Renzi, un mio coetaneo bravo e ambizioso, probabilmente non sarebbe stato un grande presidente del consiglio, ma il messaggio che proponeva era il solo che si avvicinasse alle idee che tutti sostenevamo quando nel 2007 fondammo insieme il PD. Poi sono venuti fuori i pagnottisti, i sovietisti, gli intruppati, i federati, tutto quel corpaccione che ha raggrumato un corpo dirigente sordo e incapace che non ha saputo interpretare la crisi politica e sociale di questo paese e che non è riuscita a mettere all'angolo neppure Berlusconi, costringendo Napolitano a una funzione di supplenza ai limiti della Costituzione. Renzi era l'ariete contro questo muro che ha saputo resistere, troppo grande era la partita in ballo, intere carriere, stipendi, aspettative, promesse. Abbiamo perso una grande occasione, forse l'ultima per il pd. Per questo sono molto dispiaciuto, non perché Renzi dovrà rassegnarsi a rinunciare a Palazzo Chigi, del che nulla mi curo.

giovedì 4 ottobre 2012

Il Testamento di San Francesco d'Assisi









Nella solennità del Serafico Padre Francesco io che da tanti anni usurpo senza titolo il nome di francescano ho pensato a quale parola cercare per fare memoria del Santo e ricominciare il cammino tante volte interrotto per scorciatoie di vizio. Mi è venuto in mente il Testamento che lo stesso S. Francesco dettò per rileggere la sau esperienza di vita alla sequela del Vangelo e proporla ai suoi frati. Il testo è scritto in un latino fortemente espressivo, con un tono di parlato che sembra quasi far riecheggiare nelle nostre orecchie la voce di San Francesco. Suggerisco a tutti di leggere in latino, ad ogni modo riporto in cosa una traduzione.
San Francesco protegga il nostro cammino e ci conduca al Padre. Il Signore ci dia pace..

    Testamentum sancti Francisci
    Dominus ita dedit mihi fratri Francisco incipere faciendi poenitentiam: qui cum essem in peccatis nimis mihi videbatur amarum videre leprosos. Et ipse Dominus conduxit me inter illos et feci misericordiam cum illis. Et recedente me ab ipsis, id quod videbatur mihi amarum, conversum fuit mihi in dulcedinem animi et corporis; et postea parum steti et exivi de saeculo. Et Dominus dedit mihi talem fidem in ecclesiis, ut ita simpliciter orarem et dicerem: "Adoramus te, Domine Jesu Christe, et ad omnes ecclesias tuas, quae sunt in toto mundo, et benedicimus tibi, quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum." Postea Dominus dedit mihi et dat tantam fidem in sacerdotibus, qui vivunt secundum formam sanctae ecclesiae Romanae propter ordinem ipsorum, quod si facerent mihi persecutionem, volo recurrere ad ipsos. Et si haberem tantam sapientiam, quantam Solomon habuit, et invernirem pauperculos sacerdotes huius saeculi, in parochiis, quibus morantur, nolo praedicare ultra voluntatem ipsorum. Et ipsos et omnes alios volo timere, amare et honorare, sicut meos dominos. Et nolo in ipsis considerare peccatum, quia Filium Dei discerno in ipsis, et domini mei sunt. Et propter hoc facio, quia nihil video corporaliter in hoc saeculo de ipso altissimo Filio Dei, nisi sanctissimum corpus et sanctissimum sanguinem suum, quod ipsi recipiunt et ipsi soli aliis ministrant. Et haec sanctissima mysteria super omnia volo honorari, venerari et in locis pretiosis collocare. Sanctissima nomina et verba eius scripta, ubicumque invenero in locis illicitis, volo colligere et rogo, quod colligantur et in loco honesto collocentur. Et omnes theologos et, qui ministrant sactissima verba divina, debemus honorare et venerari, sicut qui ministrant nobis spiritum et vitam (cf Joa 6,64).
    Et postquam Dominus dedit mihi de fratribus, nemo ostendebat mihi, quid deberem facere, sed ipse Altissimus revelavit mihi, quod deberem vivere secundum formam sancti Evangelii. Et ego paucis verbis et simpliciter feci scribi et dominus Papa confirmavit mihi. Et illi qui veniebant ad recipiendam vitam, omnia quae habere poterant (Tob 1,3), dabat pauperibus; et erant contenti tunica una, intus et foris repeciata, cum cingulo et braccis. Et nolebamus plus havere. Officium dicebamus clerici secundum alios clericos, laici dicebant: Pater noster; et satis libenter manebamus in ecclesiis. Et eramus idiotae et subditi omnibus. Et ego manibus meis laborabam, et volo laborare; et omnes alii fratres firmiter volo, quod laborent de laboritio, quod pertinet ad honestatem. Qui nesciunt, discant, non propter cupiditatem recipiendi pretium laboris, sed propter exemplum est ad repellendam otiositatem. Et quando non daretur nobis pretium laboris, recurramus ad mensam Domini, petendo eleemosynam ostiatim. Salutationem mihi Dominus revelavit, ut diceremus: Dominus dat tibi pacem. Caveant sibi fratres, ut ecclesias, habitacula paupercula et omnia, quae pro ipsis construuntur, penitus non recipiant, nisi essent, sicut decet sanctam paupertatem, quam in regula promisimus, semper ibi hospitantes sicut advenae et peregrini (cf 1 Pet 2,11). Praecipio firmiter per obedientiam fratribus universis, quod ubicumque sunt, non audeant petere aliquam litteram in curia Romana, per se neque per interpositam personam, neque pro ecclesia neque pro alio loco neque sub specie praedicationis neque pro persecutione suorum corporum; sed ubicumque non fuerit recepti, fugiant in aliam terrram ad faciendam peonitentiam cum benedicionte Dei.
    Et firmiter volo obedire ministro generali huius fraternitatis et alio guardiano, quem sibi placuerit mihi dare. Et ita volo esse captus in manibus suis, ut non possim ire vel facere ultra obedientiam et voluntatem suam, quia dominus meus est. Et quamvis sim simplex et infirmus, tamen semper volo habere clericum, qui mihi faciat officium, sicut in regula continetur. Et omnes alii fratres teneantur ita obedire quardianis suis et facere officium secundum regulam. Et qui inventi essent, quod non facerent officium secundum regulam, et vellent alio modo variare, aut non essent catholici, omnes fratres, ubicumque invenerint aliquem ipsorum, proximiori custodi illius loci, ubi ipsum invenerint, debeant repraesentare. Et custos firmiter teneatur per obedientiam ipsum fortiter custodire, sicuti hominem in vinculis die noctuque, ita quod non possit eripi de manibus suis, donec propria sua persona ipsum repraesentet in manibus sui ministri. Et minister firmiter teneatur per obedientiam mittendi ipsum per tales fratres, quod die noctuque custodiant ipsum sicuti hominem in vinvulis, donec repraesentent ipsum coram domino Ostiensi, qui est dominus, protector et corrector totius fraternitatis. Et non dicant fratres: "Haec est alia regula," quia haec est recordatio, admonitio, exhortatio et meum testamentum, quod ego frater Franciscus parvulus facio vobis fratribus meis benedictis propter hoc, ut regulam, quam Domino promisimus, melius catholice observemus.
    Et generalis minister et omnes alii ministri et custodes per obedientiam teneantur, in istis verbis non addere vel minuere. Et semper hoc scriptum habeant secum iuxta regulam. Et in omnibus capitulis quae faciunt, quando legunt regulam, legant et ista verba. Et omnibus fratribus meis clericis et laicis praecipio firmiter per obedientiam, ut non mittant glossas in regula neque in istis verbis dicendo: "Ita volunt intelligi." Sed sicut dedit mihi Dominus simpliciter et pure dicere et scribere regulam et ista verba, ita simpliciter et sine glossa intelegatis et cum sancta operatione observetis usque in finem. Et quicumque haec observaverit, in caelo repleatur benedictione altissimi Patris et in terra repleatur benedictione dilecti Filii sui cum sanctissimo Spiritu Paraclito et omnibus virtutibus caelorum et omnibus sanctis. Et ego frater Franciscus parvulus vester servus quantumcumque possum, confirmo vobis intus et foris istam sanctissimam benedictionem.



Testamento di san Francesco
Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo. E in seguito, stetti un poco e uscii dal secolo.

E il Signore mi dette tale fede nelle chiese, che io così semplicemente pregavo e dicevo: Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo, anche in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo.

Poi il Signore mi dette e mi dà una così grande fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa romana, a motivo del loro ordine, che se mi facessero persecuzione, voglio ricorrere proprio a loro. E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e trovassi dei sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie in cui dimorano, non voglio predicare contro la loro volontà. 

E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come miei signori. E non voglio considerare in loro il peccato, poiché in essi io discerno il Figlio di Dio e sono miei signori. E faccio questo perché, dello stesso altissimo Figlio di Dio nient'altro vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue suo, che essi ricevono ed essi soli amministrano agli altri.

E voglio che questi santissimi misteri sopra tutte le altre cose siano onorati, venerati e collocati in luoghi preziosi. E i santissimi nomi e le parole di lui scritte, dovunque le troverò in luoghi indecenti, voglio raccoglierle, e prego che siano raccolte e collocate in luogo decoroso.

E tutti i teologi e quelli che amministrano le santissime parole divine, dobbiamo onorarli e venerarli come coloro che ci amministrano lo spirito e la vita.

E dopo che il Signore mi dette dei fratelli, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. E io la feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor papa me la confermò.

E quelli che venivano per intraprendere questa vita, distribuivano ai poveri tutto quello che potevano avere, ed erano contenti di una sola tonaca, rappezzata dentro e fuori, del cingolo e delle brache. E non volevamo avere di più.

Noi chierici dicevamo l'ufficio, conforme agli altri chierici; i laici dicevano i Pater noster, e assai volentieri ci fermavamo nelle chiese. Ed eravamo illetterati e sottomessi a tutti.

E io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare; e voglio fermamente che tutti gli altri frati lavorino di un lavoro quale si conviene all'onestà. E quelli che non sanno, imparino, non per la cupidigia di ricevere la ricompensa del lavoro, ma per dare l'esempio e tener lontano l'ozio.

Quando poi non ci fosse data la ricompensa del lavoro, ricorriamo alla mensa del Signore, chiedendo l'elemosina di porta in porta.

Il Signore mi rivelò che dicessimo questo saluto: «Il Signore ti dia la pace!».

Si guardino bene i frati di non accettare assolutamente chiese, povere abitazioni e tutto quanto viene costruito per loro, se non fossero come si addice alla santa povertà, che abbiamo promesso nella Regola, sempre dimorandovi da ospiti come forestieri e pellegrini.

Comando fermamente per obbedienza a tutti i frati che, dovunque si trovino, non osino chiedere lettera alcuna [di privilegio] nella Curia romana, né personalmente né per interposta persona, né a favore di chiesa o di altro luogo, né sotto il pretesto della predicazione, né per la persecuzione dei loro corpi; ma, dovunque non saranno accolti, fuggano in altra terra a fare penitenza con la benedizione di Dio.

E fermamente voglio obbedire al ministro generale di questa fraternità e ad altro guardiano che gli sarà piaciuto di assegnarmi. E così voglio essere prigioniero nelle sue mani, che io non possa andare o fare oltre l'obbedienza e la volontà sua, perché egli è mio signore.

E sebbene sia semplice e infermo, tuttavia voglio sempre avere un chierico, che mi reciti l'ufficio, così come è prescritto nella Regola.

E tutti gli altri frati siano tenuti ad obbedire così ai loro guardiani e a dire l'ufficio secondo la Regola. E se si trovassero dei frati che non dicessero l'ufficio secondo la Regola, e volessero variarlo in altro modo, o non fossero cattolici, tutti i frati, ovunque sono, siano tenuti per obbedienza, ovunque trovassero qualcuno di essi, a farlo comparire davanti al custode più vicino al luogo dove l'avranno trovato. E il custode sia fermamente tenuto per obbedienza a custodirlo severamente, come un uomo in prigione giorno e notte, così che non possa essergli tolto di mano finché non lo consegni di persona nelle mani del suo ministro. E il ministro sia fermamente tenuto, per obbedienza, a mandarlo per mezzo di tali frati che lo custodiscano giorno e notte come un uomo imprigionato, finché non lo presentino davanti al signore di Ostia, che è signore, protettore e correttore di tutta la fraternità.

E non dicano i frati: «Questa è un'altra Regola», perché questa è un ricordo, un'ammonizione, un'esortazione e il mio testamento, che io, frate Francesco piccolino, faccio a voi, fratelli miei benedetti, affinché osserviamo più cattolicamente la Regola che abbiamo promesso al Signore.

E il ministro generale e tutti gli altri ministri e custodi siano tenuti, per obbedienza, a non aggiungere e a non togliere niente da queste parole.

E sempre abbiano con sé questo scritto accanto alla Regola. E in tutti i capitoli che fanno, quando leggono la Regola, leggano anche queste parole.

E a tutti i miei frati, chierici e laici, comando fermamente, per obbedienza, che non inseriscano spiegazioni nella Regola né in queste parole dicendo: «Così devono essere intese»; ma come il Signore ha dato a me di dire e di scrivere con semplicità e purezza la Regola e queste parole, così voi con semplicità e senza commento cercate di comprenderle, e con santa operazione osservatele sino alla fine.

E chiunque osserverà queste cose, sia ricolmo in cielo della benedizione dell'altissimo Padre, e in terra sia ricolmo della benedizione del suo Figlio diletto con il santissimo Spirito Paraclito e con tutte le potenze dei cieli e con tutti i santi. E io frate Francesco piccolino, vostro servo, per quel poco che posso, confermo a voi dentro e fuori questa santissima benedizione.

giovedì 27 settembre 2012

Acrobazie mediatiche. Ovvero come ti trasformo l’ancella del bruto nella luminosa patrona delle mamme che lavorano; sempre prescindendo dalla persona in carne ed ossa.





Un’immagine, ormai, conta più di chi vi è ritratto. È un segno perfettamente manipolabile per ogni uso e riuso, senza alcuna considerazione del valore reale e della dignità del soggetto raffigurato. Si gioca sulle emozioni, non sui ragionamenti. Basta evocare e, evocando, non pare nemmeno un abuso passare tutto il resto sotto silenzio. Accade così che la medesima persona possa essere oggi segno di infamia, domani di ammirata emulazione, prescindendo dalla sua verità esistenziale. Basta scegliere l’immagine giusta. Magari ad opera dello stesso soggetto mediatico. Questo, ad esempio, è il caso di alcuni giornalisti di un settimanale nazionale e di una donna impegnata nelle istituzioni.

Partiamo dalla copertina di un libro, O i figli o il lavoro, scritto da Chiara Valentini, giornalista dell’Espresso.



Nel cupo di uno sfondo bluastro si staglia luminosa la figura di una giovane donna che tiene un fantolino fasciato in grembo. La donna è colta in un atteggiamento assertivo, un microfono portatile le incornicia il volto, ma non dà l'idea di un'operatrice di un call center sfinita da un lungo turno di lavoro. Esprime tensione e potenza con la mano alzata e il pollice sollevato, quasi in contrasto con il candore del velo che le cinge al corpo la sua creatura.

Chi raffigura un'immagine così possente? Un'europarlamentare eletta nelle file del PDL, Licia Ronzulli, di professione infermiera, quindi “responsabile del coordinamento delle professioni sanitarie” in una casa di cura milanese. 40.016 preferenze conquistate nel Nord-Ovest sono state per la Ronzulli il biglietto giusto in direzione Bruxelles. Un trionfo per una persona alle prime armi in politica.
Ma non è questo dato, certamente sorprendente, a suscitare nel 2009 l'interesse nei confronti della giovane europarlamentare. La questione è tutt’altra ed è tutta pruriginosa, come ben si conviene a una nazione in cui persino i liberal fanno del pettegolezzo più lercio il fondamento dell’etica pubblica.
In piena campagna per le elezioni europee parte la madre di tutte le battaglie contro Silvio Berlusconi, in quel momento Presidente del Consiglio e leader del PDL. L'accusa riguarda la vita privata del premier, le sue notti brave in compagnia di giovani donne e, teste la stessa consorte Veronica Lario in una dichiarazione all'ANSA, si insinua il sospetto che Berlusconi voglia candidare alle Europee alcune delle sue belle di notte.
Dopo le prime scaramucce mediatiche la battaglia infuria con la richiesta di divorzio di Veronica Lario e con l'esplodere del caso delle foto delle feste a Villa Certosa ben frequentate da ragazze discinte, pubblicate dal settimanale «L'Espresso», organo di un gruppo editoriale non esattamente terzo rispetto alla vicenda politica.
Qui si tirano le somme e parte la caccia alle donne del premier, soprattutto a quelle sospettate di aver ricevuto incarichi politici in cambio di affettuosità. Inevitabile appare il coinvolgimento della votatissima Ronzulli, trionfalmente eletta a Bruxelles. La donna nega di aver mai partecipato a feste nella villa sarda di Berlusconi, ma un’altra ragazza, Barbara Montereale, la smentisce; sarebbe stata addirittura lei l’organizzatrice della logistica delle ospiti del cavaliere. A quel punto la Ronzulli replica piccata di essere stata a Villa Certosa solo in compagnia del marito. La cosa poteva terminare anche qui, ma L’Espresso non molla la presa e anche negli anni a seguire non mancano gli articoli che chiamano pesantemente in causa la donna nell’organizzazione delle feste berlusconiane, descritte sempre con toni che fanno subito lupanare.
Del resto il bersaglio nel mirino è troppo grande per preoccuparsi delle schegge che colpiscono i personaggi di contorno.

Il 22 settembre del 2010 la Ronzulli riesce in un colpo di scena che muta radicalmente attenzione mediatica su di lei. Va in onda l’immagine da cui siamo partiti. L’onorevole si presenta alla seduta del Parlamento Europeo tenendo la figlia avvolta a sé in una sorta di marsupio di tela come una regina africana, per tacere di riferimenti meno idonei alla vicenda.
A questa presentazione insolita la Ronzulli aggiunge una dichiarazione «Il pensiero va alle tante donne che non possono conciliare lavoro e vita di madre. Chiedo l’impegno di questo Parlamento perché nessuna donna debba trovarsi più davanti a un bivio».
L’iniziativa dell’onorevole è un successone, ottenendo riconoscimenti persino dalla stampa internazionale. Qualcuno potrebbe chiedersi se un’europarlamentare non abbia di che pagare una babysitter, come riesce alla molto meno abbiente mamma italiana media, e potrebbe osservare che l’Europarlamento non dovrebbe essere una sorta di kindergarten, considerando che due anni dopo la scena viene replicata con la bimba che addirittura alza la mano con la mamma quando si vota. Tant’è. A brigante, brigante e mezzo, la Ronzulli aveva ragionevoli motivazioni per riscattare la sua immagine bersagliata dall’artiglieria campale della stampa sinceramente democratica de’ noantri.

Quel che davvero sbalordisce è che la stessa stampa elegga l’onorevole a icona della battaglia della donna per conciliare maternità e lavoro. Così fa Chiara Valentini, giornalista dell’Espresso come abbiamo ricordato, che nel pubblicare il suo pamphlet sulle gravi difficoltà che incontrano le madri lavoratrici (o quante vorrebbero essere entrambe le cose), sceglie l’immagine da cui siamo partiti come copertina di forte impatto, senza peraltro dedicare un rigo (un rigo, non una ritrattazione o una richiesta di scuse) alla donna che in essa è ritratta, alla sua storia. La storia di una donna colpita nella sua dignità con tutto il clamore di un formidabile sistema mediatico.
Tutto questo non rileva, l’immagine è forte, è di per sé eloquente. Va bene così. In un’acrobazia mediatica l’organizzatrice dei festini di Berlusconi diventa la patrona della donna consapevole di se stessa e dei suoi diritti. La vera storia di Licia Ronzulli non interessa a nessuno. In nome dei diritti e della libertà della donna. Naturalmente.