mercoledì 25 dicembre 2013

Un animo amante per il Natale

Natale resta un grande mistero. Dio che si incarna nelle membra indifese di un bimbo per amore.
Un mistero così bello che solo un autentico animo amante può comprendere. Per questo San Francesco è stato forse uno dei pochi a gustare davvero il senso del Natale, desiderando rinnovarne il miracolo anche con gli occhi del corpo, attraverso una rappresentazione organizzata molto semplicemente.
Ci affidiamo alla penna di Tommaso da Celano per rivivere quel Natale che davvero desideriamo far nostro. Che il Signore accetti l'intenzione, se la nostra povertà di animo e di cuore non ci consentirà di accostarci neppure di un poco all'esempio.

Giotto, Presepe di Greccio, Basilica superiore di S. Francesco, Asssisi

 84. La sua aspirazione più alta, il suo desiderio dominante, la sua volontà più ferma era di osservare perfettamente e sempre il santo Vangelo e di imitare fedelmente con tutta la vigilanza, con tutto l'impegno, con tutto lo slancio dell'anima e del cuore la dottrina e gli esempi del Signore nostro Gesù Cristo.

Meditava continuamente le parole del Signore e non perdeva mai di vista le sue opere. Ma soprattutto l'umiltà dell'Incarnazione e la carità della Passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente gli riusciva di pensare ad altro.
A questo proposito è degno di perenne memoria e di devota celebrazione quello che il Santo realizzò tre anni prima della sua gloriosa morte, a Greccio, il giorno del Natale del Signore.
C'era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne. Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse: "Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l'asinello". Appena l'ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l'occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo.
85. E giunge il giorno della letizia, il tempo dell'esultanza! Per l'occasione sono qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s'accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l'asinello. In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l'umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme.
Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero. La selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia.
Il Santo è lì estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione e di gaudio ineffabile. Poi il sacerdote celebra solennemente l'Eucaristia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima.
86. Francesco si è rivestito dei paramenti diaconali perché era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce tutti in desideri di cielo. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. Spesso, quando voleva nominare Cristo Gesù infervorato di amore celeste lo chiamava "il Bambino di Betlemme", e quel nome "Betlemme" lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. E ogni volta che diceva "Bambino di Betlemme" o "Gesù", passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole.
Vi si manifestano con abbondanza i doni dell'Onnipotente, e uno dei presenti, uomo virtuoso, ha una mirabile visione. Gli sembra che il Bambinello giaccia privo di vita nella mangiatoia, e Francesco gli si avvicina e lo desta da quella specie di sonno profondo. Né la visione prodigiosa discordava dai fatti, perché, per i meriti del Santo, il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori di molti, che l'avevano dimenticato, e il ricordo di lui rimaneva impresso profondamente nella loro memoria. Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia.

Tommaso da Celano, Vita Prima, 84-86 (FF. 466-471).

giovedì 12 dicembre 2013

Spunti inutili per disperare dell'Italia, il primo



Una vice preside (in realtà sarabbe una collaboratrice del dirigente nel terribile neoburocratese scolastico) ha ripreso due ragazze che pomiciavano allegramente nei corridoi della scuola.
Apriti cielo.
Proteste di ogni genere per un atto che sarebbe omofobo e intollerante. Si annunciano manifestazioni e proteste. Nella scuola, addirittura, si progetterebbe per sabato una protesta, ovviamente denominata con l'ennesimo anglismo kiss mob, che consisterebbe in un bacio collettivo nel parcheggio di fronte al liceo, evidentemente a seguito di partecipato filone di massa. Una ghiotta occasione, anche per i più imbranati, di scambiare effusioni in pubblico.
Ovviamente gli studenti sostengono che c'è molto di più, parlano persino di misteriose lettere anonime di denuncia contro le due ragazze e sostengono che la manifestazione ha il valore di sensibilizzare contro la cosiddetta omofobia, che affliggerebbe particolarmente la cara vecchia marca trevigiana.
Nessuno che dica una cosa molto semplice: a scuola non ci si bacia. Non è quello il luogo. Ben lo sanno quanti sono stati ripresi da me per questa e per altre ragioni.
Ma in questo Paese ogni scusa è buona per buttarla in caciara.
Ah, gli studenti da me ripresi erano di sessi diversi. Spero proprio di non venir preso per eterofobo, prima o poi.

mercoledì 11 dicembre 2013

Peste editoriale



Nicolas Poussin, La peste di Azoth, Museo del Louvre, Parigi


Nel mondo della grande editoria italiana vi è una peste chiamata Laura Donnini. A lei dobbiamo la banalizzazione definitiva della Mondadori (indimenticabile una oscena intervista a Simonetta Fiori su Repubblica, in cui la signora si vantava del successo delle Sfumature e annunciava nuove trilogie bollenti), e ora quella della RCS. La super manager venuta dalla Star, che in passato ha rivendicato con orgoglio la sua incompetenza letteraria, punterà tutte le risorse su bambini e intrattenimento. Oggi, in una ennesima intervista in ginocchio (non casualmente stampata sul Corriere), afferma senza pudore "la narrativa straniera è sempre stata un problema per Rizzoli che aveva un taglio aspirazionalmente (sic) letterario, invece vogliamo puntare di più sull'intrattenimento". Infatti la Rizzoli ha sfornato già i tre libri porcelli della Cao. Il pericolo è grande, RCS oltre a Rizzoli controlla Bompiani e Adelphi, quanto di poco buono resta nella nostra editoria. Speriamo che la peste passi in fretta e che dai lazzaretti esausti risorga qualche rivolo di buona letteratura.

lunedì 9 dicembre 2013

Non una biblioteca svenduta, una memoria profanata



Sabato, passeggiando per piazza Salotto, ho visto una bancarella di libri. Mi sono fermato incuriosito, perché ho visto che non era la solita rivendita di pubblicazioni improbabili e cartonate di libri a poco prezzo, ma un vero e proprio scaffale letterario: libri di linguistica, di dialettologia, di critica della letteratura. Un insieme organico, una biblioteca di studio, molti i titoli recenti.
Ho pensato, è morto un collega, i dannati eredi ne hanno venduto la biblioteca a un rigattiere per un pugno di euro. Avranno vuotato il suo appartamento, bisticciando per i mobili migliori, per qualche quadro, forse per qualche argento. I libri svenduti al quintale.
Sono rimasto avvilito. Quei volumi, testimoni di una frequentazione quotidiana di una mente interrogante, sono esposti nudi agli sguardi dei passanti.
Non erano più libri per me, ma una memoria profanata.
Terribile empietà di sopravvissuti incolti.

giovedì 5 dicembre 2013

La fiera del formalismo giuridico



L'Italia è prigioniera del diritto.
Se esiste al mondo una nazione in cui non conta il merito di una vicenda, ma la procedura attraverso cui si svolge, questa è l'Italia.
Soprattutto nell'inerzia generale della restante classe dirigente (politica, economica, scientifica) i giudici (penali, civili, amministrativi, sportivi, forse anche quelli cinofili) sono l'unico potere che tutto dispone, usando il grimandello della regolarità della forma e sorvolando sul contenuto della cosa.
L'ultimo esempio è quello di Stamina. Il Tar ha stabilito che la decisione del Comitato scientifico che ha bocciato il metodo Stamina sia sospesa, poiché alcuni dei componenti si erano già pronunciati sulla questione. In pratica è stato seguito il principio di analogia per cui un giudice, che si occupa di procedure, non può giudicare su una questione che lo coinvolga.
Spiace osservare che, al contrario, un comitato scientifico deve pronunciarsi sul contenuto e che in sede scientifica tale contenuto non può essere determinato dal parere personale dei valutatori. Poiché una cosa dimostrata scientificamente non può essere inficiata da una diversa convinzione personale e, se lo può, vuol dire che le difettava un fondamento solido.
Ma i giuristi versati all'analogismo giuridico tutto questo non lo hanno considerato e hanno sospeso la decisione degli scienziati, rinfocolando polemiche che era bene tenere spente, anche per non seguitare a illudere i malati di malattie gravissime.
Tuttavia questo è solo un esempio a caso. Già la cronaca di oggi ne fornisce già un altro: Nel 2011 Della Valle ha offerto venticinque milioni di euro per sponsorizzare la riqualificazione del Colosseo. Ovunque, soprattutto in questi tempi grami, si sarebbe giubilato e si sarebbe partiti allegramente coi lavori. In Italia no. Qui, tra un ricorso e un altro, forse si parte solo oggi, tre anni dopo. E non è che si possa stare tranquilli. Il cantiere potrebbe essere bloccato da un istante all'altro per qualche elucubrazione sulla procedura seguita.
Per non dire poi della scuola, in cui la giustizia amministrativa è il secondo grado dei consigli di classe. Un alunno incapace di seguitare con successo il corso di studi (una decisione in genere presa con molta sofferenza, dopo tentativi di ogni genere durati un anno, con molte discussioni tra docenti e dirigente) non viene ammesso all'anno successivo dal consiglio di classe. La famiglia fa ricorso al Tar, perché comunque tale decisione si configura come procedimento amministrativo (sventurata Italia stuprata dagli uomini di legge). Nel verbale magari era saltata una crocetta, da qualche parte non si è segnato il colloquio con la famiglia a maggio, un'altra cosa del genere (durante gli scrutini in pochi giorni si mettono a posto le carte relative a un anno di lavoro di centinaia di alunni) e il Tar revoca la delibera del consiglio di classe e dispone l'ammissione dell'alunno all'anno successivo. Ovviamente prescindendo dalla reale preparazione dell'alunno, delle sue competenze e conoscenze; certamente non sarà diventato dotto magicamente a colpi di carta bollata. Il vizio di forma giustifica lo stravolgimento della realtà.
Nel frattempo la scuola è corsa ai ripari per tutelarsi. Accade così che nelle aule italiane si sia indotti, molto più che pensare a strategie di formazione, a prepararsi a tattiche procedurali di resistenza in giudizio.
Ma torneremo a parlarne. Ogni giorno il formalismo giuridico rinnova la sua fiera. 

mercoledì 4 dicembre 2013

È vero, esiste una questione di genere

Sono anni che si pubblicano statistiche molto tirate sul fatto che le ragazze vanno meglio dei ragazzi negli studi, e tutto un sommo gaudio e un tripudio. Non uno che faccia un caveat sulla tipologia dei dati, sulle differenze di prestazioni tra i generi nell'età evolutiva. I dati si prendono così, buoni comunque. 
Le donne studiano meglio degli uomini. Arrendersi all'evidenza.
Ieri i dati Ocse Pisa dicono che i ragazzi in matematica vanno meglio delle ragazze e subito sul Corriere una lunga articolessa con richiamo in prima corre ai ripari: è una questione psicologica, non di reale incapacità. 
È vero, esiste una questione di genere.

Pagnottismi

I fondi disponibili per il miglioramento dell'offerta formativa delle scuole italiane ammontano a 984 milioni di euro, di questi tempi nemmeno pochissimi. Peccato, però, che i sindacati abbiano fatto una battaglia per segare via una fetta di 463 milioni da destinare per gli scatti al personale, che sono congelati dal 2010 per le note strettezze della finanza pubblica. 
Ma perché destinare una quota così rilevante di fondi a tal fine, sottraendola ad attività che possono migliorare la qualità della scuola? 
Il vantaggio è per la parte senescente del corpo docente, quella prossima alla pensione. Lorsignori vanno via col sistema retributivo e uno scatto sullo stipendio si traduce in un aumento della pensione. I sindacati per questo s'adoperano, confermando che quando parlano di scuola, parlano di pagnotte per i loro iscritti (prevalentemente pensionandi e pensionati).