domenica 2 novembre 2008

Maestri di impero. Luciano Canfora a Pescara

La Miscellanea dà conto anche degli articoli che il suo curatore va, molto episodicamente (è accidioso), pubblicando su testate ospitali.

Ecco quello che ci pubblica oggi (2 Novembre 2008) il "il Messaggero" nel dorso Abruzzo a pagina 39.


Il segreto dell’impero? L’integrazione dei popoli
Dalla Persia ad Atene, a Roma: la conversazione di Luciano Canfora all’Accademia d’Abruzzo


di MARCO PRESUTTI*

Duro destino quello dell'impero.
Vagheggiato come sogno agli inizi del Novecento, reciprocamente rimproverato come insulto dai due blocchi della guerra fredda, praticamente svanito dal discorso pubblico negli anni recenti dell'apparente "pax americana".
Un quadro paradossale che invita a riflettere sulle tipologie di impero.
Questo ha fatto venerdì 24 ottobre nella sala consiliare del Comune di Pescara Luciano Canfora, ordinario di Filologia Classica all'Università di Bari, storico e saggista autorevole non meno che rivoluzionario.
Invitato dalla meritoria Accademia d'Abruzzo, Canfora ha ragionato sulle forme greche e romane dell'impero, nelle quali possiamo trovare indicazioni preziose anche per la riflessione politica contemporanea.
L'impero nasce come realtà ostile, palesata nell'incombente minaccia del persiano pronto a dilagare nello spazio greco con le due spedizioni punitive di Dario e di Serse. Dall'imprevedibile disfatta persiana sul mare di fronte a Salamina nasce una nuova realtà imperiale, quella ateniese. Un impero di nuova concezione, che formalmente si presenta come un'alleanza antipersiana, ma che per circa 70 anni nel quinto secolo avanti Cristo è lo strumento della politica di potenza della città democratica. La sua flotta militare, che domina il mare e che spezza sul nascere ogni ribellione delle città tributarie, finanzia la stessa democrazia ateniese, i bisogni crescenti dei suoi cittadini, l'ambizioso programma architettonico dell'acropoli, con una morsa sempre più dura nei confronti degli alleati tartassati e con una spinta sempre maggiore all'aggressione esterna.
Un altro modello di egemonia è quello di Sparta, un dominio cui si sottomettono quasi tutte le città del Peloponneso per via del prestigio militare e politico di questa polis, considerata paradigma di buon governo. Il mito di Sparta ha esercitato una forte influenza nei secoli. Canfora ha ricordato in proposito l'ammirazione perversa di Hitler che a tavola avrebbe esclamato: «Sparta era lo stato razziale perfetto». Lo studioso ha sottolineato che proprio questa chiusura delle città greche nei confronti dei non cittadini è stata la falla che le ha condannate nel lungo periodo.
Roma è tutta un'altra storia. La spinta imperiale si sviluppa in questa civiltà prima ancora che si possa formalizzare un concetto di impero. La forza militare si accompagna all'integrazione delle classi dominanti delle province conquistate. Per i Romani era chiaro quello che più tardi disse Bismarck "Con le baionette si può fare tutto, tranne che sedercisi sopra". La politica di inclusione ha fatto sì che l'impero romano, che per Canfora è più corretto definire come una repubblica imperiale, sia durato per tanti secoli dominando l'intero Mediterraneo. Anzi, l'impero romano si può considerare almeno bimillenario, visto che l'ultimo imperatore dei romani muore con la conquista di Costantinopoli del 1453 e che il sultano dei Turchi, Maometto II, si fa acclamare nuovo imperatore.
Una storia di lunghissima durata resa possibile dall'estensione della cittadinanza agli stranieri, che da barbari si fanno romani. Ecco chi sono i maestri d'impero, ha concluso Canfora.
Maestri da cui non è sciocco provare ad imparare, xenofobi di tutti i colori permettendo.

* Presidente Fondazione Europa prossima

sabato 1 novembre 2008

Da una goccia di troppo germogliano democratici disobbedienti

In una tarda mattinata sabatina, greve di nero umore d'amarezza, per l'insipienza con cui la classe non dirigente che comanda sul nostro partito ha messo mano alla questione delle candidature con cui avremmo dovuto esprimere la ripartenza del PD dopo la tragedia del 14 luglio, e anche per la consapevolezza di candidare una lista di familiari e di famigli cui non affideremmo la nostra rappresentanza in una bocciofila, figuriamoci presso il Consiglio Regionale dell'Abruzzo, ecco che in siffatto spleen giunge come goccia fatale un sms dal numero +923028267026 (ore 11.16 del 1 novembre 2008)

"su proposta del PD naz e reg ho accettato di essere capolista (prov.PE). Ho bisogno del tuo aiuto per continuare a cambiare e moralizzare l'Abruzzo. EnrPaolini"

La misura è colma. Questo personaggio, privo forse anche del suo voto personale, che da anni occupa posizioni di vertice politico in ragione di amicizie e di complicità, che ha dato pessima prova di sé nella vice presidenza della Regione, che ha tenuto all'oscuro noi tutti delle anomalie e dei reati che egli sostiene di aver ravvisato nella conduzione della sanità regionale, esponendoci così al 14 luglio come a una bomba che esploda in tempo di pace, questo personaggio annuncia al mondo di aver accettato di essere capolista.
Capolista.
Non dice di essersi candidato, così come hanno fatto tutti gli altri. No, egli ci significa che graziosamente s'è degnato di aderire alle sollecitazioni che gli provenivano dai vertici nazionali e regionali del partito (e chi saranno simili imbecilli?) acché egli si degnasse di guidare la lista del nostro partito, che forse altrimenti sarebbe stata orba di tanto ingegno, il quale ci chiede niente meno di aiutarlo a cambiare e a moralizzare l'Abruzzo.
Io dico basta.
L'Abruzzo si cambia e si moralizza se gli abruzzesi, a partire dai loro vertici, vivono del loro lavoro e spendono le loro professionalità per lo sviluppo di tutti. Questa considerazione tanto ovvia si esprime solo per una ragione. Per evidenziare che Enrico Paolini è il contrario di quello di cui abbiamo bisogno. E lo stesso temo si possa dire degli altri 7 che egli guiderà nella competizione elettorale.
Di fronte a tanto sfacelo, di fronte a tanta miseria io penso che sia possibile ripetere le parole tanto abusate di Don Milani: l'obbedienza non è più una virtù.

Ed oggi come mai io mi sento un democratico disobbediente