martedì 14 febbraio 2012

L'alibi nella sconfitta sintomo di mediocrità: il caso di Genova.

La sconfitta svela i mediocri, ma non perché solo i migliori vincano. Tutt'altro.
La storia squaderna miriadi di casi di migliori vinti da peggiori, né vale la pena di elencarne qualcuno poiché la consapevolezza attiva dei lettori ne avrà già indicati tanti.
La sconfitta svela i mediocri poiché costoro non l'accettano, ovvero non riconoscono le loro colpe che li hanno portati a perdere. I mediocri si ammantano di alibi, cercano solidarietà di gruppo, incolpano gli altri della loro disfatta.
Il caso di Marta Vincenzi a Genova è esemplare.
Se vi è una cosa assodata in questo confuso Paese è che dal 1993 non esiste dalle nostre parti un potere più forte di quello dei sindaci, né vi è un ruolo che assicuri altrettanta visibilità e la capacità potenziale di stringere un rapporto forte di fiducia, condivisione ed attesa con i cittadini.
Su questo argomento i politologi hanno sfornato decine di saggi e centinaia di articoli, non senza qualche legittima preoccupazione sulla personalizzazione dei poteri locali (con tutti i rischi di un'americanizzazione della politica in salsa mediterranea).
Per questa ragione quando un sindaco non solo non riesce ad essere rieletto (il che è raro, venendo sistematicamente rieletti non solo i migliori, ma anche non pochi tra i peggiori), ma non riesce ad ottenere nemmeno il sostegno degli elettori della sua parte politica attraverso una consultazione di tifosi come le primarie, cosa dovrebbe fare? Prendersi una pausa, rifletterci su e quindi recitare un convincente mea culpa, possibilmente ringraziando chi comunque ti ha consentito di svolgere un'esperienza importante.
Tutto il contrario ha fatto la Vincenzi.
A botta calda si è dedicata allo sfogatoio telematico lanciando una serie di invettive dalla sua pagina di twitter, che peraltro sfoggia un cursus honorum (Sindaco, Presidente di Provincia, Europarlamentare) imbarazzante per chi non è riuscito a farsi rinnovare la fiducia nemmeno dai suoi.
La Vincenzi non ci sta, la colpa è degli altri, del partito, di quelli che hanno tramato alle sue spalle e che lei generosamente ha lasciato fare, di quelli che vanno in bicicletta, di Don Gallo (caso raro di critica gratuita all'arzillo chierico genovese).
Non solo. Come Alberto Sordi con la malattia (A me m'ha bloccato la malattia), la Vincenzi indica l'alibi principe: mi avete tarpato le ali perché sono una donna, arrivando a paragonarsi ad Ipazia, probabilmente nulla sapendo della vita di questa filosofa (si suggerisce la lettura della bella biografia della Ronchey che demolisce il topos della scenziata vittima dell'oscurantismo).
La Vincenzi vorrebbe consolarsi urlando: non mi avete sostenuto perché sono una donna. Non è vero Marta. Essere una donna non ti ha impedito di essere eletta sindaco, presidente ed europarlamentare. Non ti ha impedito di amministrare la cosa pubblica per più di venti anni con ruoli diversi e prestigiosi.
Il tuo problema non è quello di essere donna (peraltro i dirigenti del PD con non inusuale cinica doppiezza avevano pensato di risolvere il problema opponendo a una donna un'altra donna, così giusto per scansare il rischio di essere presi per sessisti), ma l'aver fatto il sindaco in un modo che non è piaciuto ai Genovesi, che se fossero stati contenti di te (di Marta, non di una donna o di un uomo), sarebbero andati ai seggi delle primarie (aperti a tutti) per assicurarsi altri 5 anni di un governo loro gradito. Non è andata così.
Fattene una ragione, sei come tutti noi (uomini o donne) un essere umano che sbaglia e che qualche volta paga pegno. Ma se continui ad albertosordeggiare rischi di apparire come un essere umano mediocre. E non lo meriti tu e nemmeno i Genovesi che in passato tante volte ti hanno dato il loro consenso.