mercoledì 20 gennaio 2010

Senza verità muore la democrazia. Ovvero perché abbiamo bisogno del “Lodo Scalfari”

Senza verità muore la democrazia.
Ovvero perché abbiamo bisogno del “Lodo Scalfari” nel PD provinciale di Pescara.


I

La democrazia ha bisogno di verità. La menzogna, la simulazione degli intenti reali, gli slogan di comodo, l’ipocrisia uccidono la stessa possibilità di fare democrazia, che vuol dire anche scegliere tutti insieme con consapevolezza piena gli indirizzi, le linee e i dirigenti.
A giudicare da come stiamo massacrando sistematicamente le primarie, un canale di democrazia riconosciuto in tutto il mondo, la falsità dimora stabilmente tra noi.
Affermiamo grandi idee e principi per portare avanti interessi di fazione, di gruppo, di comparizia, dimensione quest’ultima genuinamente autoctona soprattutto nei centri minori che coronano la nostra verde provincia.
Interessi, sia chiaro, non necessariamente deleteri, spesso anzi ragionevoli, ma viziati dal respiro corto che li caratterizza, sagomati come sono su prospettive personali, o di cerchia, o di campanile, il cui raggio di visione, vertiginoso per alcuni, delimita d’ogni parte l’area di attrattiva di tanti nostri amici.
Così la divisione regna sovrana, ma non potendo affermare se stessa come valore, ne inventa e ne proclama ventriloqua innumerevoli altri, vivendo infinite metamorfosi di menzogna pur di seguitare a contrapporre persona a persona, banda a banda, borgo a borgo.

II

La divisione regna anche nel Partito Democratico della provincia di Pescara, nel quale si sono candidate quattro persone diverse alla carica di segretario provinciale; quattro persone tutte degnissime, una di queste addirittura un fratello per me, Antonio Di Marco, credo il miglior sindaco eletto in questa provincia negli ultimi anni.
Tre di questi uomini appartengono alla mia generazione, quella dei trentenni che dovrebbero risollevare un partito mandato in rovina da chi ha governato sin qui, anche con nostre responsabilità.
Proprio questo passaggio rappresentava un’occasione preziosa per dimostrare di aver inteso la lezione e di saper riscattare un passato di luci, ma anche di ombre.
Non è andata così.
La mia generazione ha subito le logiche consuete e si è divisa, fornendo suoi uomini di valore per rappresentare lo scontro tra pezzi di vecchia classe dirigente incaponitisi nel continuare a tirare a campare malgrado tutto.
Una battaglia insensata e rancorosa volta più al passato e alle sue eredità, che al futuro e alle sue prospettive.
Ma la storia è piena di miracoli che trasformano gli scontri più aspri in vittorie inaspettate.
Un mezzo miracolo è accaduto anche domenica scorsa, grazie ai quindicimila che sono andati a votare. Quindicimila persone che, sia pure con differenti motivazioni (c’era qualche famiglio, qualche cliente, qualcuno condotto di peso, ma anche tanti altri spinti intenzionati a dimostrare appartenenza e interesse a questo sventurato partito), hanno trasformato una tenzone rusticana in un evento politico.
Un evento che ha dimostrato, ancora una volta, che il PD in provincia di Pescara c’è, perché ha un suo popolo che meriterebbe dirigenti migliori e tesi a perseguire più il bene generale che quello di banda.
Questo popolo, invece, si ritrova con i dirigenti che ci sono, i quali da lunedì hanno cominciato a lavorare, d’impegno più che d’ingegno, per demolire l’evento nel suo significato di miracolo di partecipazione democratica.
I quindicimila elettori hanno fatto la loro scelta tra i quattro candidati, preferendo, sia pure di qualche centinaio di voti, Toni Castricone ad Antonio Di Marco. Manciate di voti hanno ottenuto Pino De Dominicis e, in misura minore, Davide Patriarca.
Malgrado questa indicazione popolare, sfruttando un codicillo del regolamento, in queste ore i campioni della divisione sono al lavoro per cancellarne il significato, cercando di raccogliere le firme di tutti i delegati eletti con i tre candidati che hanno ottenuto il minor numero di voti. Dicono che basterebbero anche le firme dei delegati eletti con il secondo e con il terzo candidato con l’aggiunta di qualche transfuga, specie che non manca mai dalle nostre parti. Dicono che sarebbe sufficiente per avere in assemblea provinciale qualche voto in più di quelli a disposizione del candidato uscito più votato dalle primarie.
Fanno, dicono. Ma cosa?
Mentre organizzano un disegno opaco di mera riaffermazione di un potere declinante, devastano sia il partito, illudendosi che si possa governare con una metà armata contro l’altra, sia le aspettative dei nostri elettori, le cui indicazioni sarebbero cancellate con un’intesa, o meglio con un patto siglato in qualche tinello.
Dobbiamo scongiurare che tutto questo possa avvenire.

III

Quando abbiamo svolto le primarie per il segretario nazionale, temendo un esito come quello che si è verificato poi domenica scorsa a Pescara, i candidati principali, Franceschini e Bersani, concordarono che in caso nessuno avesse raggiunto il 50% dei voti, l’assemblea nazionale avrebbe eletto segretario quello che avesse ottenuto più suffragi popolari, senza bisogno di accordi sottobanco, di intese clandestine, di convergenze equivoche di interessi prima divergenti. Tutto trasparente, tutto alla luce del sole. Questo criterio fu chiamato “Lodo Scalfari”.
Per il livello nazionale non fu necessaria la sua applicazione, perché Bersani ottenne la maggioranza assoluta.
Ma ora serve applicarlo a Pescara, per fermare le bande prima che ci distruggano.
Evitiamoci, ve ne scongiuro, l’ennesima chiamata alle armi.
Toni Castricone proponga una gestione unitaria del partito, coinvolgendo Antonio Di Marco ed anche Pino De Dominicis e Davide Patriarca.
Ma in modo palese, sotto gli occhi di tutti. Restituendo alla politica quella tensione alla verità senza la quale non si dà democrazia. E tanto meno un partito democratico.




Marco Presutti
Coordinamento Politico Regionale PD Abruzzo

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