Un’immagine, ormai,
conta più di chi vi è ritratto. È un segno perfettamente manipolabile per ogni
uso e riuso, senza alcuna considerazione del valore reale e della dignità del
soggetto raffigurato. Si gioca sulle emozioni, non sui ragionamenti. Basta
evocare e, evocando, non pare nemmeno un abuso passare tutto il resto sotto
silenzio. Accade così che la medesima persona possa essere oggi segno di
infamia, domani di ammirata emulazione, prescindendo dalla sua verità
esistenziale. Basta scegliere l’immagine giusta. Magari ad opera dello stesso
soggetto mediatico. Questo, ad esempio, è il caso di alcuni giornalisti di un
settimanale nazionale e di una donna impegnata nelle istituzioni.
Partiamo dalla
copertina di un libro, O i figli o il
lavoro, scritto da Chiara Valentini, giornalista dell’Espresso.
Nel cupo di uno
sfondo bluastro si staglia luminosa la figura di una giovane donna che tiene un
fantolino fasciato in grembo. La donna è colta in un atteggiamento assertivo,
un microfono portatile le incornicia il volto, ma non dà l'idea di
un'operatrice di un call center
sfinita da un lungo turno di lavoro. Esprime tensione e potenza con la mano
alzata e il pollice sollevato, quasi in contrasto con il candore del velo che
le cinge al corpo la sua creatura.
Chi raffigura
un'immagine così possente? Un'europarlamentare eletta nelle file del PDL, Licia
Ronzulli, di professione infermiera, quindi “responsabile del coordinamento
delle professioni sanitarie” in una casa di cura milanese. 40.016 preferenze
conquistate nel Nord-Ovest sono state per la Ronzulli il biglietto giusto in
direzione Bruxelles. Un trionfo per una persona alle prime armi in politica.
Ma non è questo
dato, certamente sorprendente, a suscitare nel 2009 l'interesse nei confronti
della giovane europarlamentare. La questione è tutt’altra ed è tutta
pruriginosa, come ben si conviene a una nazione in cui persino i liberal fanno
del pettegolezzo più lercio il fondamento dell’etica pubblica.
In piena campagna
per le elezioni europee parte la madre di tutte le battaglie contro Silvio
Berlusconi, in quel momento Presidente del Consiglio e leader del PDL. L'accusa
riguarda la vita privata del premier, le sue notti brave in compagnia di
giovani donne e, teste la stessa consorte Veronica Lario in una dichiarazione
all'ANSA, si insinua il sospetto che Berlusconi voglia candidare alle Europee
alcune delle sue belle di notte.
Dopo le prime
scaramucce mediatiche la battaglia infuria con la richiesta di divorzio di
Veronica Lario e con l'esplodere del caso delle foto delle feste a Villa
Certosa ben frequentate da ragazze discinte, pubblicate dal settimanale «L'Espresso»,
organo di un gruppo editoriale non esattamente terzo rispetto alla vicenda
politica.
Qui si tirano le
somme e parte la caccia alle donne del premier, soprattutto a quelle sospettate
di aver ricevuto incarichi politici in cambio di affettuosità. Inevitabile
appare il coinvolgimento della votatissima Ronzulli, trionfalmente eletta a
Bruxelles. La donna nega di aver mai partecipato a feste nella villa sarda di
Berlusconi, ma un’altra ragazza, Barbara Montereale, la smentisce; sarebbe
stata addirittura lei l’organizzatrice della logistica delle ospiti del
cavaliere. A quel punto la Ronzulli replica piccata di essere stata a Villa
Certosa solo in compagnia del marito. La cosa poteva terminare anche qui, ma
L’Espresso non molla la presa e anche negli anni a seguire non mancano gli articoli
che chiamano pesantemente in causa la donna nell’organizzazione delle feste
berlusconiane, descritte sempre con toni che fanno subito lupanare.
Del resto il
bersaglio nel mirino è troppo grande per preoccuparsi delle schegge che
colpiscono i personaggi di contorno.
Il 22 settembre del
2010 la Ronzulli riesce in un colpo di scena che muta radicalmente attenzione
mediatica su di lei. Va in onda l’immagine da cui siamo partiti. L’onorevole si
presenta alla seduta del Parlamento Europeo tenendo la figlia avvolta a sé in
una sorta di marsupio di tela come una regina africana, per tacere di
riferimenti meno idonei alla vicenda.
A questa
presentazione insolita la Ronzulli aggiunge una dichiarazione «Il pensiero va
alle tante donne che non possono conciliare lavoro e vita di madre. Chiedo l’impegno
di questo Parlamento perché nessuna donna debba trovarsi più davanti a un bivio».
L’iniziativa
dell’onorevole è un successone, ottenendo riconoscimenti persino dalla stampa
internazionale. Qualcuno potrebbe chiedersi se un’europarlamentare non abbia di
che pagare una babysitter, come riesce alla molto meno abbiente mamma italiana
media, e potrebbe osservare che l’Europarlamento non dovrebbe essere una sorta
di kindergarten, considerando che due
anni dopo la scena viene replicata con la bimba che addirittura alza la mano
con la mamma quando si vota. Tant’è. A brigante, brigante e mezzo, la Ronzulli
aveva ragionevoli motivazioni per riscattare la sua immagine bersagliata dall’artiglieria
campale della stampa sinceramente democratica de’ noantri.
Quel che davvero
sbalordisce è che la stessa stampa elegga l’onorevole a icona della battaglia
della donna per conciliare maternità e lavoro. Così fa Chiara Valentini,
giornalista dell’Espresso come abbiamo ricordato, che nel pubblicare il suo
pamphlet sulle gravi difficoltà che incontrano le madri lavoratrici (o quante
vorrebbero essere entrambe le cose), sceglie l’immagine da cui siamo partiti
come copertina di forte impatto, senza peraltro dedicare un rigo (un rigo, non
una ritrattazione o una richiesta di scuse) alla donna che in essa è ritratta,
alla sua storia. La storia di una donna colpita nella sua dignità con tutto il
clamore di un formidabile sistema mediatico.
Tutto questo non
rileva, l’immagine è forte, è di per sé eloquente. Va bene così. In
un’acrobazia mediatica l’organizzatrice dei festini di Berlusconi diventa la
patrona della donna consapevole di se stessa e dei suoi diritti. La vera storia
di Licia Ronzulli non interessa a nessuno. In nome dei diritti e della libertà
della donna. Naturalmente.
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