martedì 1 novembre 2011

Giustizia e umanesimo, la grande lezione di Benedetto XVI al Parlamento tedesco


Papa Benedetto XVI parla al Bundestag il 23 settembre 2011 

Una grande lezione sull'uomo, sulla sua dignità, sul significato della sua esistenza. Potremmo descrivere così la visita di Papa Benedetto XVI in Germania, la sua nazione d'origine, svoltasi dal 22 al 25 settembre. Quattro giorni densi di incontri, di discorsi, di celebrazioni liturgiche,  nei quali il Papa ha voluto confrontarsi con le pluralità all'opera nella società tedesca sul piano confessionale, economico e politico. La cordialità è stato il tratto prevalente della visita apostolica, non quella fredda dell'etichetta, ma quella che nasce dall'apertura del cuore, soprattutto nel confronto con i più lontani, con gli appartenenti a altre confessioni, come i protestanti, o ad altre religioni come gli ebrei e i musulmani, o con i rappresentanti di una società largamente secolarizzata e talvolta sorda al messaggio cristiano.
Questa apertura all'altro da sé costituisce, del resto, la disposizione naturale dell'animo cristiano è chiamato a vivere un'esistenza che è “pro-esistenza, un esserci per l'altro, un impegno umile per il prossimo e per il bene comune”, come ha detto il Papa nell'omelia pronunciata il 25 settembre a Friburgo. Un'umiltà che non è virtuoso formalismo, ma in primo luogo adesione alla realtà, come spiega la stessa radice della parola che viene da humus, ovvero da terra.
Nell'umile apertura all'altro, riconosciuto nella sua diversità, si coglie che “non è l'autorealizzazione, il voler possedere e costruire se stessi, a compiere il vero sviluppo della persona, cosa che oggi viene proposta come modello della vita moderna … È piuttosto l'atteggiamento del dono di sé, la rinuncia a se stessi” che ci orienta verso il prossimo e quindi verso noi stessi.
La responsabilità verso l'altro chiama in causa la dimensione della politica, alla quale il Papa ha dedicato il suo discorso più impegnativo, pronunciato il 23 settembre di fronte al Parlamento tedesco. Benedetto XVI ha ricordato che compito dell'uomo di governo è servire il diritto e combattere l'ingiustizia, ben sapendo che il potere senza diritto porta alla distruzione della giustizia, come è accaduto nei regimi totalitari. Anche nelle democrazie, tuttavia, è necessario sapere cosa sia veramente giusto e idoneo a divenire legge, poiché soprattutto in alcune questioni che riguardano l'uomo non è possibile affidarsi al criterio della maggioranza.
Su questo punto il Papa ha richiamato la tradizione della cultura europea frutto dell'incontro tra la fede nel Dio d'Israele, la ragione filosofica dei Greci e il diritto di Roma. In questo solco si è mosso il Cristianesimo che “non ha mai imposto allo Stato e alla società un diritto rivelato, un ordinamento giuridico derivante da una rivelazione. Ha invece rimandato alla natura e alla ragione quali vere fonti del diritto - ha rimandato all'armonia tra ragione oggettiva e soggettiva, un'armonia che però presuppone l'essere ambedue le sfere fondate nella Ragione creatrice di Dio”. Negli ultimi anni, però, si è affermata in Occidente una visione positivista che considera natura e ragione solo in termini funzionali, negando il fondamento etico del diritto. Il Papa ha evocato l'immagine di edifici di cemento armato senza finestre, privi di aperture al mondo vasto di Dio. Una visione angusta che mette a rischio la stessa dignità dell'uomo e la sua libertà.
Benedetto XVI ha ricordato che sul fondamento della fede in un Dio creatore si è formata l'idea dei diritti dell'uomo, dell'eguaglianza degli uomini davanti alla legge e della responsabilità delle persone riguardo al loro agire. Per questa ragione occorre salvare questa radice culturale in modo da conservare ancora oggi un cuore docile in grado di distinguere il bene dal male e di fondare un diritto che promuova la giustizia e la pace.
Un discorso formidabile che ogni politico europeo dovrebbe meditare lungamente per ritrovare il senso di un percorso millenario al servizio della promozione della persona.


pubblicato su La Domenica d'Abruzzo, n. 30 dell'1 ottobre 2011, p. 9

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