martedì 1 novembre 2011

«Lo farò volentieri». Vivere da frati nella tendopoli di Piazza d'Armi, fratelli tra i fratelli.

fra Orazio Renzetti O.F.M. Capp.

Una cappella in una tenda, su un altarino una povera immagine lignea della Sacra Famiglia, a fianco un mattone scheggiato e incrostato di cemento, quello che resta di una casa che non c'è più, sopra c'è scritto “Va' e ripara la mia casa”.
Possiamo partire da questa immagine per raccontare l'esperienza vissuta dai Frati Minori Cappuccini nella grande tendopoli di Piazza d'Armi nei giorni più duri del dopo terremoto dell'Aquila.
In quella città i frati sono di casa da sempre, nella notte del 6 aprile 2009 il terremoto distrusse il loro convento di Santa Chiara, le rovine fanno impressione ancora oggi.
Il giorno stesso due frati vanno a Spoleto a chiedere aiuto ai confratelli di quella comunità, nella quale si trovano anche i postnovizi che vivono la loro formazione religiosa.
Non si perde tempo, S. Francesco sarebbe corso subito in soccorso dei fratelli terremotati. Questo pensano i cappuccini che si rivolgono all'Arcivescovo dell'Aquila Mons. Molinari che affida loro il campo di Piazza d'Armi. Il 7 aprile viene individuata un'area dove erigere una cappellina e il 9 sette frati sono lì per iniziare il loro servizio tra le persone che hanno perso tutto tra le macerie. Questa piccola comunità francescana è guidata da fra Orazio Renzetti, pescarese di origine, un passato con gli scarpini da arbitro di calcio ai piedi, ora sempre calzati da sandali.


Fra Orazio, di fronte a una sciagura così grave, che si è rinnovata con tanta violenza distruttiva ora in Giappone, non è naturale domandarsi dove sia Dio?
Ti rispondo con un ricordo. Il 9 aprile era Giovedì Santo. Aperta la cappellina in una tenda di Piazza d'Armi, me ne sono andato a Coppito per pregare sulle bare delle vittime dei crolli. Lungo la strada mi ha colpito un'immagine. Presso una rotatoria c'era una croce, di quelle messe a ricordo di una missione religiosa. Sotto la croce era finito, chissà come, un cartello con scritto “Affittasi”. Certamente l'annuncio non riguardava quella croce, di certo si trattava di qualche locale che magari non c'era più. In quel momento ho pensato:  «La croce di Cristo appartiene solo a Lui, non la vende a nessuno». Capii che a noi viene data solo per qualche tempo, come in affitto. Alcune volte ci cade addosso pesantemente come è successo a L'Aquila, ma Gesù ne resta il padrone e ci aiuta a portarla. Con i miei confratelli abbiamo compreso che il compito che ci attendeva a Piazza d'Armi era farci carico di questa missione di Gesù: aiutare a far risorgere dalle macerie spirituali coloro che erano caduti sotto la croce. Non abbiamo fatto altro che metterci a disposizione di questo progetto di Dio. Per questo rispondo alla tua domanda: Dio è in tutto questo. 


Come avete svolto questa missione nella tendopoli?
Alla tendopoli c'era bisogno di tutto. Soprattutto si sentiva il bisogno di ricevere conforto, rassicurazione, speranza. Noi ci siamo messi in ascolto delle anime, abbiamo portato il messaggio di Cristo, abbiamo prestato il nostro aiuto in quello che ci veniva richiesto, anche nelle cose più semplici, come il portare medicinali, viveri e  giocattoli nei paesi colpiti dal sisma. Abbiamo fatto l'esperienza del servizio nel campo, sperimentando una profonda comunione con tutti gli altri volontari di tante associazioni religiose e caritative presenti a L'Aquila; tra queste voglio ricordare l'Unitalsi. Abbiamo toccato con mano nei fratelli la forza del sollievo cristiano. È stata un'esperienza indimenticabile, credo soprattutto per i giovani frati in formazione che hanno vissuto con noi e con i confratelli di Santa Chiara alloggiati nei vagoni ferroviari un momento forte nella realizzazione del nostro carisma francescano.


Che ha significato vivere da francescani questa esperienza?
Abbiamo avuto modo di meditare l'episodio di San Francesco di fronte al Crocifisso di San Damiano. Alla preghiera fervente del Santo, «Signore cosa vuoi che io faccia?», il Signore rispose: «Francesco, non vedi che la mia casa sta crollando? Va' dunque e restauramela». Le fonti ci raccontano che Francesco rispose:
«Lo farò volentieri, Signore» (Fonti Francescane 1411).
Noi a L'Aquila siamo riusciti a vivere davvero come frati, fratelli tra fratelli, accomunati tutti da un unico amore: l'altro, perché abbiamo condiviso molto del tutto: preghiera al mattino, servizio durante il giorno, santa Messa e momenti serali di preghiera.
La sintesi finale del nostro stare insieme è venuta fuori dalla bocca di tutti, sia di chi è andato per servire, sia di chi è stato servito: grazie. In questo modo le parole di Francesco si  sono profondamente realizzate in noi: «Lo farò volentieri, Signore». Pace e bene a tutti.


pubblicato su La Domenica d'Abruzzo, n. 6 del 2 aprile 2011, pagina  8

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