giovedì 5 dicembre 2013

La fiera del formalismo giuridico



L'Italia è prigioniera del diritto.
Se esiste al mondo una nazione in cui non conta il merito di una vicenda, ma la procedura attraverso cui si svolge, questa è l'Italia.
Soprattutto nell'inerzia generale della restante classe dirigente (politica, economica, scientifica) i giudici (penali, civili, amministrativi, sportivi, forse anche quelli cinofili) sono l'unico potere che tutto dispone, usando il grimandello della regolarità della forma e sorvolando sul contenuto della cosa.
L'ultimo esempio è quello di Stamina. Il Tar ha stabilito che la decisione del Comitato scientifico che ha bocciato il metodo Stamina sia sospesa, poiché alcuni dei componenti si erano già pronunciati sulla questione. In pratica è stato seguito il principio di analogia per cui un giudice, che si occupa di procedure, non può giudicare su una questione che lo coinvolga.
Spiace osservare che, al contrario, un comitato scientifico deve pronunciarsi sul contenuto e che in sede scientifica tale contenuto non può essere determinato dal parere personale dei valutatori. Poiché una cosa dimostrata scientificamente non può essere inficiata da una diversa convinzione personale e, se lo può, vuol dire che le difettava un fondamento solido.
Ma i giuristi versati all'analogismo giuridico tutto questo non lo hanno considerato e hanno sospeso la decisione degli scienziati, rinfocolando polemiche che era bene tenere spente, anche per non seguitare a illudere i malati di malattie gravissime.
Tuttavia questo è solo un esempio a caso. Già la cronaca di oggi ne fornisce già un altro: Nel 2011 Della Valle ha offerto venticinque milioni di euro per sponsorizzare la riqualificazione del Colosseo. Ovunque, soprattutto in questi tempi grami, si sarebbe giubilato e si sarebbe partiti allegramente coi lavori. In Italia no. Qui, tra un ricorso e un altro, forse si parte solo oggi, tre anni dopo. E non è che si possa stare tranquilli. Il cantiere potrebbe essere bloccato da un istante all'altro per qualche elucubrazione sulla procedura seguita.
Per non dire poi della scuola, in cui la giustizia amministrativa è il secondo grado dei consigli di classe. Un alunno incapace di seguitare con successo il corso di studi (una decisione in genere presa con molta sofferenza, dopo tentativi di ogni genere durati un anno, con molte discussioni tra docenti e dirigente) non viene ammesso all'anno successivo dal consiglio di classe. La famiglia fa ricorso al Tar, perché comunque tale decisione si configura come procedimento amministrativo (sventurata Italia stuprata dagli uomini di legge). Nel verbale magari era saltata una crocetta, da qualche parte non si è segnato il colloquio con la famiglia a maggio, un'altra cosa del genere (durante gli scrutini in pochi giorni si mettono a posto le carte relative a un anno di lavoro di centinaia di alunni) e il Tar revoca la delibera del consiglio di classe e dispone l'ammissione dell'alunno all'anno successivo. Ovviamente prescindendo dalla reale preparazione dell'alunno, delle sue competenze e conoscenze; certamente non sarà diventato dotto magicamente a colpi di carta bollata. Il vizio di forma giustifica lo stravolgimento della realtà.
Nel frattempo la scuola è corsa ai ripari per tutelarsi. Accade così che nelle aule italiane si sia indotti, molto più che pensare a strategie di formazione, a prepararsi a tattiche procedurali di resistenza in giudizio.
Ma torneremo a parlarne. Ogni giorno il formalismo giuridico rinnova la sua fiera. 

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