Un mistero così bello che solo un autentico animo amante può comprendere. Per questo San Francesco è stato forse uno dei pochi a gustare davvero il senso del Natale, desiderando rinnovarne il miracolo anche con gli occhi del corpo, attraverso una rappresentazione organizzata molto semplicemente.
Ci affidiamo alla penna di Tommaso da Celano per rivivere quel Natale che davvero desideriamo far nostro. Che il Signore accetti l'intenzione, se la nostra povertà di animo e di cuore non ci consentirà di accostarci neppure di un poco all'esempio.
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Giotto, Presepe di Greccio, Basilica superiore di S. Francesco, Asssisi |
84. La sua aspirazione più alta, il suo desiderio dominante, la sua volontà più ferma era di osservare perfettamente e sempre il santo Vangelo e di imitare fedelmente con tutta la vigilanza, con tutto l'impegno, con tutto lo slancio dell'anima e del cuore la dottrina e gli esempi del Signore nostro Gesù Cristo.
Meditava continuamente le parole del Signore e non perdeva
mai di vista le sue opere. Ma soprattutto l'umiltà dell'Incarnazione e la
carità della Passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che
difficilmente gli riusciva di pensare ad altro.
A questo proposito è degno di perenne memoria e di devota
celebrazione quello che il Santo realizzò tre anni prima della sua gloriosa
morte, a Greccio, il giorno del Natale del Signore.
C'era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona
fama e di vita anche migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur
essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello
spirito che quella della carne. Circa due settimane prima della festa della
Natività, il beato Francesco, come spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse:
"Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara
quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche
modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la
mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e
come giaceva sul fieno tra il bue e l'asinello". Appena l'ebbe ascoltato,
il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato
tutto l'occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo.
85. E giunge il giorno della letizia, il tempo
dell'esultanza! Per l'occasione sono qui convocati molti frati da varie parti;
uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno
secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella
quale s'accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i
tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo
desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il
fieno e si introducono il bue e l'asinello. In quella scena commovente
risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l'umiltà.
Greccio è divenuto come una nuova Betlemme.
Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini
e agli animali! La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato
prima, davanti al nuovo mistero. La selva risuona di voci e le rupi imponenti
echeggiano i cori festosi. I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte
sembra tutta un sussulto di gioia.
Il Santo è lì estatico di fronte al presepio, lo spirito
vibrante di compunzione e di gaudio ineffabile. Poi il sacerdote celebra
solennemente l'Eucaristia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione
mai gustata prima.
86. Francesco si è rivestito dei paramenti diaconali perché
era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce,
limpida e sonora rapisce tutti in desideri di cielo. Poi parla al popolo e con
parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme.
Spesso, quando voleva nominare Cristo Gesù infervorato di amore celeste lo
chiamava "il Bambino di Betlemme", e quel nome "Betlemme"
lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto,
producendo un suono come belato di pecora. E ogni volta che diceva
"Bambino di Betlemme" o "Gesù", passava la lingua sulle
labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole.
Vi si manifestano con abbondanza i doni dell'Onnipotente, e
uno dei presenti, uomo virtuoso, ha una mirabile visione. Gli sembra che il
Bambinello giaccia privo di vita nella mangiatoia, e Francesco gli si avvicina
e lo desta da quella specie di sonno profondo. Né la visione prodigiosa
discordava dai fatti, perché, per i meriti del Santo, il fanciullo Gesù veniva
risuscitato nei cuori di molti, che l'avevano dimenticato, e il ricordo di lui
rimaneva impresso profondamente nella loro memoria. Terminata quella veglia
solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia.
Tommaso da Celano, Vita Prima, 84-86 (FF. 466-471).